L’impegno interreligioso tra teoria e pratica

Conoscersi, approfondire la conoscenza dell'altro e dell'altrui dottrina: un metodo sperimentato nei giorni scorsi da giovani studenti cristiani e islamici

Tutti sanno che le foreste, crescendo, fanno assai meno rumore di quel che un solo albero fa cadendo. Ed anche in mezzo al fragore degli attentati di quest’estate il dialogo interreligioso cresce imperterrito, silenzioso, inesorabile, fino a dare i suoi primi splendidi frutti.

Come la IV Summer School, dal titolo “Interfaith Engagement in Theory and Practice, che nasce  da una storia di dialogo e collaborazione dell’Istituto Universitario Sophia di Loppiano con l’International Institute for Islamic Studies di Londra ed il Risalat Institute di Qum (Iran).

La valle di Primiero è luogo assai caro a Sophia, che vi torna per la sua quarta Summer School. Per Primiero e Palazzo Scopoli, questo è il secondo incontro, in due anni, dedicato al dialogo interreligioso tra Islam e Cristianesimo.

Il metodo della scuola è il più sperimentato e sicuro: conoscersi, approfondire la conoscenza dell’altro, dell’altrui dottrina; far crescere il rispetto per le altre religioni, in particolare per le religioni Abramiche.

Quarantacinque studenti e giovani studiosi, oltre che dall’Italia, sono venuti dal Perù, dal Pakistan, dal Paraguay, dall’Iran, dall’India, dalle Filippine; altri dagli USA, dall’Inghilterra e dal Canada, da  famiglie di origine iraniana. C’è facile intesa tra loro, che viene anche dall’avere la stessa età, e c’è naturale voglia di conoscersi e di scoprire quanto uguali si è, quanto sia uguale il cuore di persone di tradizioni e culture diverse, che oggi vivono gomito a gomito e respirano la medesima aria.

Nella giornata in alta montagna si avverte ancora più intenso il “dialogo della vita”, via naturale all’unità tra le persone. A lato di un sentiero, sotto Cima Rosetta, alcuni musulmani si appartano seduti, rivolti verso sud ed intonano un dolcissimo, raccolto e lungo canto di preghiera. Gli altri si fanno intorno ed in modo del tutto spontaneo si raccolgono anch’essi in un’assorta preghiera. È tutto molto naturale, come il fatto che qualche ragazzo dell’islam assista, anche un po’ commosso, alla celebrazione eucaristica nella chiesa di S. Sebastiano.

Le lezioni in aula illustrano in modo assai documentato il lungo cammino del dialogo interreligioso. Qualcuno propone ipotesi teologiche ed esegetiche che parrebbero azzardate se non contestualizzate alla scoperta della vocazione al mondo unito che le grandi religioni, vissute con fede, inevitabilmente portano in sé.

Il preside dell’istituto universitario Sophia, Piero Coda, conclude la sua lettura magistrale con l’invito ad essere tutti “ascoltatori e pionieri di questa parola, unità, che Dio va dicendo attraverso le varie tradizioni religiose”.

È viva l’eco dei sanguinosi fatti di terrorismo che hanno insanguinato l’Europa. Poche ore prima, a poche decine di chilometri da qui, s’era pianto ai funerali di Luca Russo, il ragazzo caduto sulla Rambla a Barcellona. E qui, ragazzi musulmani e cristiani si incontrano tra i sorrisi, con la voglia di conoscersi, per conoscere meglio l’altro.

Andando a fondo della propria identità religiosa, delle proprie reciproche spiritualità, si scopre che, al di là delle degenerazioni religiose e dei fanatismi che ne deturpano la vera identità, le grandi religioni, se vissute con fede vera, portano inevitabilmente alla pace, al dialogo ed alla fraternità. E non possono portare ad altro che alla scoperta dell’unità come valore spirituale e come modo di agire pratico.

Qui si parla in modo concreto di un mondo che, proprio con l’aiuto delle religioni, scopre la vocazione ad essere unito: dalle finestre sembra incombere su Palazzo Scopoli la collina di San Vittore e par di toccare con mano la vicina chiesetta, innanzi alla quale Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, guardando i paesi della valle ebbe un ispirato pensiero: “Questa spiritualità farà nascere delle vere città…”.

In quegli stessi giorni, nell’agosto ’56, sempre a pochi passi da qui, si stampava al ciclostile il famoso  numero zero di una rivista che, proprio  per questo, volle dunque chiamarsi “Città Nuova”…  

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