l’Europa riparte da Roma

Non si può negare che Roma abbia vissuto il 29 ottobre una giornata storica degna di memoria per il significato che ha rivestito. Blindata, come la circostanza esigeva per garantire l’incolumità di tanti capi di stato e di governo, la città non ha potuto offrire uno spettacolo di popolo, ma le riprese televisive hanno comunque consentito di partecipare in diretta all’avvenimento cui l’incomparabile cornice del centro storico romano aggiungeva una suggestione senza eguali. E molte considerazioni sono affiorate spontanee, non certo per fare dell’ironia sugli ultimi episodi che hanno visto cancellato il riferimento alle radici cristiane del continente, proprio in quella Costituzione che si stava firmando sotto il braccio benedicente di Innocenzo X, il papa della pace di Westfalia (1648).Troppo evidente si palesava la presenza di quelle radici che si vorrebbero recise. La gridavano le pietre del Campidoglio, quella storia. Se ne coglieva la portata dalle parole di chi, pur senza espliciti riferimenti, ha sottolineato il significato e la solennità del momento richiamandosi alla fede dei padri fondatori nei nuovi destini dei popoli d’Europa. Una fede mantenuta intatta, penso di poter dire, in molti fra quanti ne hanno raccolto l’eredità. Come non partecipare alla commozione sincera del presidente Ciampi: Il Trattato – ha detto – ci allontana definitivamente da quell’abisso di tragiche guerre intestine, e quegli spettri non torneranno a turbare le menti della generazioni future. Evidente la gioia di Prodi: La Costituzione renderà l’Unione europea più democratica, più efficace, più trasparente . Soddisfatto lo stesso Berlusconi che vedeva coronati i suoi contrastatissimi sforzi per portare a Roma questa cerimonia: L’utopia dei padri fondatori ora è una meravigliosa realtà.Tra Roma 1957 e Roma 2004 corre il filo della nostra identità. Il capo dello stato, il capo del governo e quello dell’opposizione su ciò concordavano. Né era lontano dal loro il pensiero espresso da quanti erano venuti a rappresentare i 25 paesi già entrati nell’Unione e i quattro che sono in attesa di farne parte, cioè la Romania, la Bulgaria, la Croazia e la Turchia. L’Italia ha dunque offerto la scena più appropriata e l’accoglienza più sincera all’avvenimento, facendo tacere per un giorno le beghe interne, e subito ha raccolto un frutto dalla presenza dei partner europei, risolvendo rapidamente il contenzioso che si era aperto intorno al caso Buttiglione. Restano i rilievi negativi già espressi nel costatare l’accanimento antireligioso che quell’episodio ha palesato. Per altro verso, fuori della polemica, la nuova capacità del Parlamento di pronunciarsi davanti alla Commissione costituisce un passo avanti verso l’estensione dei suoi poteri da tempo auspicata. E di passi avanti, per non accontentarsi delle cerimonie e degli auspici, la nuova Europa ne deve compiere ancora tanti.A cominciare dalla ratifi- ca di questo Trattato che l’Italia vuole compiere subito; ma che in taluni paesi, dove le rispettive costituzioni nazionali esigono si tenga un referendum per approvare la riduzione di sovranità che questo nuovo passo comporta, non è del tutto scontata. Cosa succederà se la Gran Bretagna dirà di no? Era stato proposto che venisse sospesa l’adesione all’Unione europea dei paesi che non avessero accettato la Costituzione, ma ciò contrastava con la decisione, già condivisa, di affrettare i tempi dell’ingresso dei nuovi paesi. Del resto, non saranno questi a sollevare obiezioni. Benché più avanzata rispetto a quella uscita dal Trattato di Nizza, questa Europa ha ancora molte pastoie che ne frenano il cammino, prima fra tutte quella delle complesse maggioranze richieste, talora addirittura dell’unanimità, per approvare le deliberazioni più vincolanti. Ci troveremo presto a confrontarci coi fatti. Sarà una strada lunga e in salita. Come accordare allora l’ottimismo quasi trionfalistico delle dichiarazioni ufficiali con considerazioni assai diverse udite in questi giorni, che piangono su ciò che l’Europa non è più? Certo l’Unione europea non è diventata esattamente quella che era nei voti dei fondatori: è una Europa diversa, forse sminuita, ma è al tempo stesso anche molto di più. Chi avrebbe pensato allora che i paesi della sponda atlantica si sarebbero ricongiunti con quelli del centro e dell’est, gravati da un’ipoteca – quella sovietica – che pareva dovesse durare secoli? Chi avrebbe immaginato tanta voglia d’Europa in paesi come la Turchia? Come avviene in natura, i grandi organismi hanno bisogno di molto tempo per maturare appieno.Agli ideali gridati nella prima gioventù, segue una fase di concretizzazione, quella dei traguardi economici – per noi il Mercato comune, l’abolizione delle frontiere, la moneta unica – che sembra sottovalutare in parte quegli ideali. Inizia ora la fase della maturazione politica che di quegli ideali non può fare a meno; e che impegnerà certamente anche le generazioni future. Si conferma per il momento la cosiddetta eurodemocrazia: un’unione di popoli e di stati ancora assai complessa nell’istituzione e nei metodi di governo, in continuo sviluppo e in crescita di competenze. Essa lascia ancora molti scontenti, ma è destinata a migliorare. Certo è che all’Europa unita si guarda da tutto il mondo con interesse e spesso con giustificata invidia, perché può costituire un modello per molti. Crescerà in proporzione di ciò cui i singoli paesi sapranno rinunciare, per ottenere di più e di meglio, insieme agli altri, di quanto cioè sapremo sostituire la parola nostro alla parola mio. Un rappresentante unico per l’Europa all’Onu costituirebbe, in questo senso, un grande segnale.

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