Les choristes

Opera libera dagli schemi commerciali consueti, è stata premiata al festival di Giffoni, ha avuto vasto successo in Francia ed è stata proposta per l’Oscar. Il giovane regista Christophe Barratier, che con essa ha realizzato il suo primo lungometraggio, vi ha trasposto la sua passione per la musica, coltivata fin dall’infanzia. Ispirandosi ad una nota pellicola francese del ’44, ha pensato di ambientarla nel passato, l’immediato dopo guerra, per sentirsi libero di occuparsi dei problemi dei ragazzi, senza approfondimenti sociali, necessari se riferita ai tempi d’oggi. Sin dall’inizio, siamo introdotti nel mondo dei ricordi di un celebre direttore d’orchestra, che ha modo, attraverso la lettura del diario di un suo insegnante d’un tempo, di ripensare alle proprie origini non proprio illustri. Aveva conosciuto un’infanzia ribelle, i modi oltremodo autoritari di un istituto per ragazzi difficili, una madre povera, oggetto di sospetti e incomprensioni. Ma in quella scuola emarginata, chiamata significativamente Il fondo dello stagno, era arrivato un sorvegliante, diverso dagli altri, che era stato capace di imprimere un impulso nuovo, promovendo la formazione di un coro e scoprendo il suo talento musicale. Il pregio principale del film consiste nel tratteggio dell’insegnante, la cui positiva figura non è facilmente definibile. Si tratta di un uomo dall’aspetto dimesso, che non pensa alla carriera, né a imporsi in maniera appariscente. Eppure, risponde alle provocazioni con una intraprendenza intelligente e sa equilibrare la benevolenza con la fermezza. Barratier punta alla genuinità del contenuto, senza cercare abbellimenti, se non quello del bel canto; e senza ricorrere ad espedienti per captare l’attenzione. Non sviluppa, per esempio, gli spunti dell’antagonismo tra scolari ed educatori, smorzandoli dopo averli accennati, per sottolineare la fruttuosità del metodo educativo paziente. Mostra lo scontro con lo stato più degradante della psiche umana, quando essa scivola nella cattiveria. Prima diffusa in vari ragazzi, poi concentrata in uno solo, irrecuperabile, e nel preside, ricordato in modo caricaturale. Mostrando che tale negatività rimane sino alla fine, evita il pericolo di un finale consolatorio. Eppure, fa capire quanto il successo del professore protagonista sia stato importante per gli altri ragazzi, specie per quello che diventerà un musicista affermato, che giustamente prova nei suoi confronti una nostalgica gratitudine. Regia di Christophe Barratier; con Gérard Jugnot, Francois Berléand, Kad Merad

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