Leah. Coscienza della biodiversità

Imparare l'Amazzonia dall’interno e fare rete è l'obiettivo – raggiunto – dei 31 giovani leader nella recente settimana di formazione per la promozione delle culture e della biodiversità della regione. La wapichan guianese Casimero

L’Amazzonia, il “polmone del mondo” è stremato. Secondo gli esperti, nel suo ecosistema è in pericolo di estinzione circa la metà delle 15 mila specie vegetali, una cinquantina di specie animali e persino decine di popoli indigeni (ovvero centinaia di tribù). Da decenni la Chiesa è l’istituzione che più fa per salvare il salvabile. La sezione giovanile della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), che riunisce le diocesi con territorio amazzonico degli otto Paesi che se lo spartiscono, ha realizzato a Manaus (Brasile) dall’11 al 18 marzo il corso intensivo per giovani “Sentieri amazzonici di formazione”, al quale hanno partecipato 31 ragazzi di Brasile, Perù, Colombia, Ecuador, Venezuela, Bolivia e Guyana (mancava solo il Suriname).

Grazie a lezioni teorico-pratiche interattive e dinamiche e ad attività sul campo, i giovani – scrive l’agenzia Fides – hanno conosciuto più a fondo l’ambiente che abitano e la ricchezza culturale e spirituale dei popoli della regione. E poi hanno cementato rapidamente la loro amicizia, infittendo e rafforzando la rete Repam. Si sono persuasi, ancor più, del ruolo-chiave dei giovani nella difesa dell’Amazzonia. «Siamo arrivati a Manaus avviliti per i danni ecologici che vediamo nei nostri Paesi – racconta Omar Alvarado, studente di architettura colombiano –. Condividere le nostre culture, i nostri percorsi di spiritualità evangelica e i nostri metodi specifici per la difesa della natura ci ha rincuorato e ha rinnovato la nostra fiducia di poter cambiare il volto delle nostre società».

Tra i partecipanti, anche la guyanese Leah Casimero, del popolo wapichan, uno dei nove presenti nel Paese. «Noi wapichan siamo in maggioranza cattolici, ma tanti preservano la loro religiosità ancestrale, e credono e rispettano gli spiriti guardiani dei fiumi, della foresta e dei suoi abitanti – spiega Leah –. Mi sorprende che dopo oltre cent’anni di cristianesimo, tanta gente conservi ancora queste convinzioni, ma un passo importante è che la Chiesa abbia cominciato a riconoscere la sapienza e la spiritualità dei popoli indigeni».

Leah ha una laurea breve in amministrazione aziendale, ed oggi si dedica al “Programma di educazione bilingue di qualità” per i bambini wapichan della sua provincia. È convinta che «se le lezioni sono impartite nella lingua materna sin dall’inizio, e con materiali che hanno a che fare con la loro vita quotidiana, gli allievi saranno più motivati a studiare e i loro risultati miglioreranno. Inoltre – spiega –, il programma permetterà loro di valorizzare la loro identità culturale e li doterà dell’abilità di prendere buone decisioni per sé stessi e per gli altri».

Leah è figlia del toshao, il capo del suo villaggio, Aishalton, di circa 1.200 abitanti. «Sin da quando ho memoria, papà è sempre stato attivo nella vita comunitaria, sociale, politica, religiosa, educativa, economica… La sua forza e il suo coraggio nell’ergersi in difesa dei poveri e di chi non ha voce sono stati la mia principale fonte di ispirazione». Circa la situazione dell’Amazzonia e in particolare al ruolo dei suoi coetanei, Leah è «davvero convinta che dovrebbero essere protagonisti nella “buona battaglia” per salvare noi e la Madre Terra dalla distruzione totale. Ma perché ciò accada – afferma –, devono rendersi conto della loro reale situazione nell’Amazzonia (e nel mondo intero). Hanno semplicemente bisogno di essere guidati alla scoperta della loro capacità di cambiamento, e di usarla. Sono i leader di oggi, non di domani! Hanno solo bisogno di esempi. Secondo me è l’unico modo di scoprirlo».

È anche vero, ammette, che la scarsa motivazione è dovuta anche alle difficoltà che trovano nello studio (di qui la sua passione per questo nuovo programma) che rende quasi irraggiungibile il sogno di un’educazione che permetta loro di trovare un buon lavoro. «Mi considero fortunata ad aver avuto il sostegno necessario per studiare (finanziario, familiare, morale…) quando ne avevo bisogno. L’istruzione formale e l’economia basata sul denaro sono abbastanza nuove per noi popoli amerindi – considera –, e stiamo lottando per adattarci».

Ma ora, dopo Manaus, Leah è ancor più “carica”, cosciente del suo ruolo e consapevole dell’urgenza di una “conversione ecologica”. «So che nella mia lotta per questa conversione non sono sola», asserisce, riferendosi ai suoi nuovi fratelli “panamazzonici” conosciuti a Manaus.

 

 

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