Le parole dell’Europa

Barrot: un ideale comune Jacques Barrot: Grazie per il vostro impegno a servizio del l’Europa, oggi più necessario che mai. Apparentemente il villaggio planetario prende forma, con la rivoluzione di Internet e con la crescita mondiale che moltiplica gli spazi di prosperità… Ma le fratture restano numerose, gli scontri continuano a minacciare, e così i fanatismi e le violenze. Come dimenticare, in questi frangenti, gli appelli in favore del Darfur martire, e del Vicino Oriente sconvolto? Ora, l’ideale europeo offre senza dubbio la possibilità di poter umanizzare questa mondializzazione, di farne un cammino verso la pace! Perché l’Europa è nata dalla Riconciliazione, dal superamento dei conflitti nazionalisti, etnici, religiosi. Lo spazio europeo deve essere laboratorio di riconciliazione, il luogo di una nuova fraternità e la sorgente di una forza di mediazione. Sì, ma per questo noi dobbiamo militare perché l’Europa sia un modello. L’Europa deve essere una società democratica, esigente nel rispetto delle persone umane e nel rispetto della diversità culturale e spirituale. L’Europa deve essere una comunità sempre più solidale rispetto ai suoi membri e rispetto ai Paesi più poveri. Deve continuare ad essere, in questo spirito di condivisione, il primo donatore al mondo in materia di aiuto allo sviluppo. L’Europa deve essere all’avanguardia della salvaguardia del patrimonio naturale del pianeta. Deve continuare ad essere generosa pensando alle generazioni che verranno, che soffriranno molto per il riscaldamento climatico o per il calo della biodiversità. L’Europa deve essere un modello di governance equa. Una governance che controlli gli eccessi della speculazione finanziaria e lotti contro le diseguaglianze, che vigili sul rispetto delle regole del gioco negli scambi mondiali, sul rispetto degli standard sociali e ambientali. Come accettare, ancora oggi, il lavoro forzato dei bambini? L’Europa deve infine essere promotrice della pace nel mondo. Deve essere presente per scongiurare i conflitti che nascono dall’odio, dall’ingiustizia, per interporsi lì dove s’instaura il regno della violenza. Ma anche per incitare alla creazione nel mondo di altre comunità regionali, adatte a superare gli egoismi nazionali, i ripiegamenti identitari, capaci di diventare a loro volta promotrici di pace. Sì, gli europei sono gli eredi di una storia formidabile… Hanno la missione di aprire i cammini che portano a una governance mondiale al servizio dell’uomo. Come diceva Jean Monnet: La comunità che noi abbiamo creata non è che una tappa verso le forme di organizzazione del mondo di domani. In questo riposa la nostra speranza. Sta a noi farla condividerla al mondo intero. Prodi: la sfida in Europa Romano Prodi: A distanza di tre anni ci troviamo di nuovo a Stoccarda per dare vigore all’impegno dei cristiani, che in- sieme a tanti altri cittadini europei sono chiamati a dare forza all’Europa. Tre anni fa vivevamo l’entusiasmo dell’ingresso nell’Unione europea di dieci Paesi dell’Europa centrale e orientale: quasi un compimento di uno straordinario processo culturale e politico iniziato nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, anche se il cammino non è ancora pienamente concluso. A distanza di tre anni la Costituzione europea segna il passo, riemergono tentazioni neonazionaliste, si punta da parte di alcuni ad avere stati nazionali forti di fronte a una Europa debole, prospettiva assolutamente miope e di corto respiro. Anche la mia vita è cambiata. Tre anni fa erano gli ultimi mesi da presidente della Commissione europea. Oggi vengo nella veste di presidente del Consiglio del mio Paese. Dunque responsabilità diverse, ma unica è la stella polare che guida la mia azione politica, oggi come tre anni fa: l’Europa. Una Europa che, avendo sperimentato nella propria carne la guerra, ha una vocazione storica alla pace e che, avendo vissuto l’abisso della Shoà, è contro ogni forma di razzismo e di nazionalismo, per una convivialità delle culture e delle religioni. Molte sono le sfide dell’Europa nel tempo che ci sta dinanzi. Io individuo queste: l’Africa, il Medio Oriente, i diritti umani con la priorità del no alla pena di morte, la lotta alla povertà e l’impegno per la pace, la tutela dell’ambiente e politiche a sostegno della famiglia. La prima grande sfida è oggi l’Africa. Non si può accettare che intere generazioni di bambini africani muoiano ogni anno a causa delle grandi pandemie. È tempo di voltare pagina e di diventare protagonisti di un nuovo partenariato euroafricano per lo sviluppo e per i diritti. Questo è il vostro sogno – ne ha parlato Andrea Riccardi oggi -, deve diventare il sogno di tutta l’Europa. Il Medio Oriente con tutto il suo travaglio bussa in modo nuovo alla porta dell’Europa. La pace a Gerusalemme è il fondamento della pace in tutto il mondo. Nel suo destino è contenuto il futuro dell’umanità. Per questo un anno fa impegnai il prestigio mio e del mio Paese per la risoluzione della guerra in Libano, rilanciando il ruolo dell’Europa e rafforzando quello delle Nazioni Unite. Abbiamo fermato una guerra dalle conseguenze imprevedibili. Certo tutto è straordinariamente difficile, ma al dialogo non c’è alternativa. Oggi l’Europa deve spendere tutto il suo peso e il suo prestigio a favore della moratoria delle esecuzioni capitali in tutto il mondo, in vista di una abolizione della pena di morte. Una battaglia di civiltà ci attende all’Onu dopo il voto del Parlamento europeo. Fate sentire anche voi, che vi impegnate nel difendere la vita in ogni sua forma, la vostra voce su questo punto. La lotta per la giustizia e per la pace ha oggi una dimensione planetaria. Sempre più forte si fa il muro di povertà che divide il sud dal nord del mondo. Una visione egoista del mondo moltiplica le disuguaglianze, accentuando la distanza tra mondo ricco e mondo povero fino alle guerre e al terrorismo. Questo è l’effetto di una politica di cui anche l’Europa porta la responsabilità. L’Europa è chiamata a giocare un ruolo decisivo per definire una nuova politica di governo multilaterale e condiviso del mondo, consolidando il ruolo delle istituzioni internazionali. L’Iraq, l’Afghanistan e le altre crisi regionali hanno sempre più bisogno di multilateralismo. Un multilateralismo vero, dove tutti siano ascoltati e contino, valorizzando al massimo la funzione dell’Onu e delle sue organizzazioni. In questa sfida entra anche la delicatissima questione del clima e dell’ambiente. Anche in questo caso è necessario un governo multilaterale e condiviso del clima, con scelte coraggiose e innovative, perché altrimenti rischieremo tutti di essere travolti. Ancora una volta l’Europa è chiamata ad una sfida grande, e ad una nuova alleanza con il sud del mondo. La questione ambientale è un altro nome della pace. La famiglia. La famiglia umana accoglie tutte le famiglie della terra. Se guardo alle famiglie europee, penso prima di tutto alle famiglie degli immigrati, degli zingari, dei disabili, degli anziani non autosufficienti. Penso alle famiglie, che esprimono diverse tradizioni religiose e culturali. Penso ai ragazzi abbandonati dalle famiglie, penso alle ragazze di strada, che portano nella loro vita drammatica una domanda di famiglia. Tutto questo mi preme moltissimo, perché sono convinto che la famiglia debba essere la scuola della fraternità e della condivisione, della pace e della giustizia, della fedeltà e dell’unità, e della riconciliazione. Questo ho imparato da tutta la mia vita e da tutta la mia esperienza. Questa è anche l’esperienza delle vostre famiglie, ed è questo uno dei doni che potete fare all’Europa. La grande famiglia dell’Europa ha bisogno di famiglie che generino la cultura della comunione e della speranza, che sappiano ospitare la diversità, che siano feconde perché capaci di consegnare ai figli i semi del futuro e le cose belle del domani. Tutto questo domanda politiche coraggiose, politiche pubbliche che sappiano unire e non dividere, senza le quali il tessuto profondo dell’Europa rischia di perdersi. Si deve unire la società in nome della famiglia. Se tutto questo è una sfida all’Europa, è evidentemente anche una sfida al cristianesimo in Europa e ai cristiani europei. Noi cristiani, impegnati nei vari luoghi di questa nostra Europa, abbiamo come missione di aprire il nostro cuore al mondo e al suo futuro, di essere profeti di speranza, di avere una lettura amica della storia, attenta alla condizione concreta di vita delle persone. Mi pare di dover sottolineare quattro parole che siamo chiamati a consegnare all’Europa: l’unità, la fraternità, la riconciliazione e la pace. L’unità è innanzi tutto, come ha detto sin dal suo primo discorso Benedetto XVI, l’appello all’unità dei cristiani. In questo modo saranno seme di unità per tutta l’Europa, nel pieno riconoscimento gli uni degli altri. Il cammino dell’unità coglie le radici non nel passato ma nel futuro. Quest’unità dei cristiani non è fine a sé stessa ma in vista di una fraternità universale. C’è una domanda di fraternità che il mondo pone a tutti noi. Fraternità che deve cominciare dagli immigrati, gli abbandonati, le minoranze rifiutate come gli zingari, i fratelli delle altre religioni. E c’è una sfida in più, che Chiara Lubich ha posto sin dal 2004: la fraternità come categoria di cui tenere conto anche nell’agire politico. La riconciliazione. Per la terza parola ricordo l’accorata esperienza del pastore Friedrich Aschoff. La riconciliazione è possibile se lavoreremo per costruire nuovi ponti di cooperazione tra sud e nord del mondo, tra Europa ed Africa, tra Israele e Palestina, in Iraq, in Afghanistan. Una cooperazione per la riconciliazione. La vera sfida oggi nei confronti degli Stati non è vincere ma riconciliare. E infine la pace. La pace attraversa e si sostanzia delle quattro parole precedenti. Bonhoeffer parlava di osare la pace. È necessario osare anche oggi la pace, sapendone portare la fatica. Non dimentichiamo queste parole.

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