I lavoratori del mare e la zona grigia dei diritti

Visita su una nave, a Trieste, assieme al rappresentante sindacale dell’organizzazione internazionale Itf che tutela 6 milioni di persone nel settore trasporti

Il mare non è sempre blu. Ha anche le sue zone grigie. Ne sono un riscontro concreto le “Flags of convenience” (le bandiere di comodo) delle navi che solcano anche il mare Adriatico e che portano con sé la questione della tutela del lavoro.

Un problema risulta più evidente nel momento in cui riusciamo a dargli un volto umano: cogliere che, oltre all’involucro di lamiera, vi sono persone con diritti da tutelare e dignità da garantire è, quindi, un passo importante da fare. È per questo che abbiamo incontrato, presso il Porto di Trieste, Paolo Siligato, ispettore per l’Adriatico nord-orientale dell’ International Transport Worker’s Federation (Itf), la Federazione dei Sindacati dei lavoratori del trasporto che rappresenta nel mondo circa 6 milioni di lavoratori dei trasporti, di cui circa un sesto marittimi.

Con lui siamo saliti a bordo di un piccolo mercantile, impegnato in un’operazione di carico di farine per l’alimentazione animale con destinazione Tarragona e abbiamo assistito ad un incontro conoscitivo con l’equipaggio.

«Good morning, brothers!»: la visita a bordo inizia nel segno della fratellanza. Ci viene incontro il capitano e l’accoglienza è immediata, corredata da sorrisi e un buon caffè turco. La chiacchierata inizia mettendo a fuoco le nazionalità presenti a bordo: bandiera Antigua e Barbuda (una delle bandiere di comodo dichiarate dall’Itf), equipaggio – piccolo, appena 9 persone – a prevalenza turca, armatore di un altro Paese ancora. Già al primo impatto si palesa una realtà variegata e ci proietta immediatamente nella “zona grigia”. Le prime domande riguardano i contratti, gli stipendi, i turni di lavoro previsti, i mansionari, le certificazioni e le garanzie previdenziali. «Tutto sommato la loro situazione è abbastanza accettabile», ci spiega Siligato dopo aver visionato i documenti: «le norme di riferimento per i salari contrattuali sono quelle dell’International Labour Organization (Ilo) – (l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite sul diritto dei lavoratori, ndr). Ad esempio, prevede un massimo di 48 ore lavorative settimanali. Su questa base vengono quindi calcolati gli straordinari.

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È importante sapere che i salari devono andare di pari passo con la sostenibilità economica di una nave… e quindi le scelte dell’armatore in merito alla manutenzione, al tipo di carico, alla qualificazione del personale e alla concorrenza hanno delle conseguenze». La convenzione Ilo vale, però, nei Paesi che hanno provveduto alla sua ratificazione: «L’Italia non l’ha mai ratificata perché la legislazione vigente era migliore – ci spiega Siligato –. Questo creava dei dubbi a livello internazionale, quindi, per ovviare a questo vuoto normativo è nata la Mlc 2006 – Maritime Labour Convention – ratificata nel 2013 ed entrata in vigore nel nostro Paese nel 2014».

La visita prosegue con un’occhiata alle cucine, alla dispensa, alle cabine e alla sala macchine. Ma quali le sfide che attendono l’Itf rispetto alle zone grigie che continuano ad esistere? «Alla base ci deve essere la consapevolezza che il lavoro va retribuito – conclude Siligato – e a questo bisogna aggiungere la garanzia su un giusto monte ore di lavoro, l’offerta di un trattamento umano anche nella parte di vita comune ed abitativa e la tutela di un diritto al rimpatrio». Diritto, quest’ultimo, che spesso non viene garantito e incontra ancora ostacoli nella legislazione italiana ed europea.

 

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