Il lato oscuro della democrazia peruviana

Una crescita durata anni, ma che ha alimentato una rete di corruzione che si è assestata saldamente all’interno delle istituzioni. Si potrebbe spiegare così la destituzione in odore di illegittimità costituzionale del presidente peruviano Martín Vizcarra e la successiva rinuncia di Manuel Merino
(AP Photo/Rodrigo Abd)

L’aspetto più preoccupante di coloro che Tzvetan Todorov considererebbe tra i nemici interni della democrazia, è che affermano di agire in suo nome. Ed è proprio in nome della democrazia e, perché no, dello stato di diritto che si è consumato il dramma di una nuova crisi politica in Perú. Ad appena cinque mesi dalle elezioni e in piena pandemia, lunedì 9 novembre il Parlamento ha destituito il presidente Martín Vizcarra, al quale è succeduto per appena sei giorni il titolare del Parlamento, Manuel Merino. Non ci voleva molto per sentire puzza di bruciato nelle affermazioni dei partiti che hanno promosso irresponsabilmente la caduta di Vizcarra. Infatti, migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro una manovra grossolana finalizzata a sbarazzarsi di un presidente scomodo. Sul processo di destituzione dovrebbe pronunciarsi il Tribunale Costituzionale.

La repressione smisurata della polizia negli scontri con i manifestanti ha provocato due morti, decine di feriti e una catena di reazioni di sdegno. Persino il Parlamento, che pochi giorni prima aveva rimandato a casa il presidente, ha protestato e chiesto la rinuncia di Merino. Prima si sono dimessi la gran parte dei 18 ministri del governo appena formato, poi anche Merino ha dato le dimissioni e al suo posto lunedì è stato eletto Fracisco Sagasti, uno dei 19 parlamentari che si era opposto alla destituzione del presidente.

Vizcarra era stato accusato, quando era governatore regionale, di aver accettato tangenti per 600 mila dollari in cambio di concessioni. A settembre era stato poi accusato di favorire uno sconosciuto cantante ingaggiato dal ministero per la Cultura, ma se l’era cavata. Questa volta 105 dei 130 voti del congresso sono andati a favore della dichiarazione di “incapacità morale permanente”. Ne sarebbero bastati 87. Quella dell’incapacità morale prevista dalla legge è un concetto in realtà poco chiaro nel suo significato, ma è invece chiarissima l’eccezionalità che la legge indica. Invece, il Parlamento l’ha trasformata nella spada di Damocle di questo e dei futuri presidenti: se non ci piaci, ti dichiariamo moralmente corrotto, tanto basta una accusa. Infatti, uno dei paradossi di questo ennesimo episodio di instabilità politica è che nel Parlamento peruviano ci sono ben 68 deputati accusati, indagati o sotto processo per diversi delitti, ma sono protetti da una immunità che, a quanto pare, viene negata alla massima carica dello stato.

Che ormai il presidente dovesse essere indagato, sono pochi a negarlo. Ma altra cosa è destituirlo in piena pandemia, mentre il Paese è ai primi posti nella lista mondiale di decessi, in relazione alla popolazione, per Covid-19.

Vizcarra era giunto alla presidenza in quanto vice di Pedro Pablo Kuczynski, travolto dallo scandalo Odebrecht, il gigante edile brasiliano che ha ammesso di aver pagato tangenti ai governi di mezzo Sudamerica. Il partito di Kuczynski si è dissolto come neve al sole ed ha lasciato Vizcarra privo di sostegno politico. E con questa debolezza alle spalle, Vizcarra l’anno scorso ha sciolto il Parlamento, credendo che le elezioni di gennaio avrebbero sbloccato la situazione.

La riforma elettorale che ha bloccato la rielezione di alcuni deputati compromessi, ha però portato in parlamento un numero elevato di outsider cooptati da lobby economiche che finanziano le campagne elettorali in cambio di futuri favori. Cosa che ha atomizzato il Parlamento in una serie di partiti spesso sorti in pochi mesi, guidati in modo mercenario, senza lealtà alle istituzioni né visione politica. Basta considerare che il sostegno a Merino è durato il tempo di un sospiro. Ė un assalto allo stato da parte di personaggi che hanno utilizzato il populismo o il fondamentalismo biblico per ottenere voti. Ciò ha accentuato l’instabilità e l’incapacità di cogliere il dramma: oltre 930 mila contagiati e 35 mila decessi, con 2 mila nuovi contagi al giorno. Il rischio di nuove ondate pandemiche senza aver superato la prima è dietro l’angolo.

Inoltre, il cosiddetto “miracolo peruviano” degli ultimi anni ha portato con sé i suoi demoni. C’è stata una crescita quantitativa, ma senza ridistribuzione della ricchezza. E oggi su 32 milioni di abitanti i poveri sono oltre 6,5 milioni (il 21%). E i nuovi ricchi fanno di tutto per continuare nei loro affari, magari con l’aiuto di politici senza scrupoli se le barriere legali sono un problema.

È su questa complessa problematica che si muove la protesta della società civile peruviana, disperatamente impegnata ad affermare che corruzione e democrazia sono incompatibili.

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