L’Arabia saudita e la nuova Festa della Fondazione

In Arabia saudita il 22 febbraio è stato dichiarato festa nazionale della Fondazione dello Stato, una scelta che sottolinea una presa di distanza dall’alleanza-identificazione fra regno e dottrina wahhabita, che ha contrassegnato lo stato saudita negli ultimi tre secoli.  
Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman al-Saud, foto Ap.

La notizia è della settimana scorsa, ma non è arrivata all’attenzione di molti media internazionali per due fondamentali motivi: riguarda l’Arabia Saudita, un Paese considerato in Occidente inaccessibile e incomprensibile, non senza ragioni storiche; ed è successo due giorni prima dell’invasione russa dell’Ucraina, che ha polarizzato i processi di comunicazione mediale.

Si tratta di una nuova festività nazionale (22 febbraio) introdotta nel Paese: Yawm al-ta’sis, la Festa della Fondazione. Dove per fondazione si intende quella del nucleo originario dello Stato saudita ad opera di Muhammad bin Saud al Muqrin (1687-1765), che divenne emiro di Diriyah nel 1727 ed è considerato il fondatore della dinastia al-Saud, tuttora regnante.

Perchè è così importante l’istituzione di questa festa? Per la ragione fondamentale che la monarchia per la prima volta dopo 3 secoli sembra voler distinguere in qualche modo l’identità nazionale dalla dottrina wahhabita. Fino ad ora, infatti, la data di nascita dello Stato saudita era rigorosamente fissata al 1744, l’anno il cui l’emiro Muhammad bin Saud (noto anche con il titolo di imam) stabilì un’alleanza con Muhammad ibn Abd al-Wahhab, il riformatore islamico considerato dai sufi colpevole di aver travisato i valori più autentici dell’Islam, e viceversa da parte di al-Wahhab.

Il patto del 1744 fra l’emiro e il riformatore fondava per la prima volta nella storia islamica la separazione tra le prerogative politiche degli emiri e quelle religiose dei chierici (ulema). Ma era pur sempre una stretta alleanza e se questo ha favorito in passato la riunificazione dei vari emirati in cui era suddivisa la penisola arabica, è poi diventata nel tempo un’associazione inscindibile fra dinastia e ulema, una sorta di identificazione del regno con una certa visione particolarmente rigida dell’Islam, che non è poi quella di moltissimi musulmani, anche sunniti, soprattutto fuori dai confini del regno saudita.

Un interessantissimo articolo di Chiara Pellegrino pubblicato su oasiscenter.eu (16 feb 2022) segnala particolari e implicazioni di questo evento che sottolinea la nuova visione dell’Arabia Saudita caldeggiata, com’è noto, dall’erede al trono, Mohammad bin Salman al-Saud (MbS). Vision 2030, così si chiama l’ampio e ambizioso progetto di MbS, mira ad ospitare nel regno 100 milioni di turisti da tutto il mondo entro il 2030. Un’apertura al turismo (e non solo al pellegrinaggio a La Mecca e a Medina riservato ai musulmani) alla quale non siamo abituati, anche se l’impressione è che si prediliga un turismo in grado a spendere cifre elevate.

Nella sua rassegna stampa su Medio Oriente e mondo islamico, Oasis Center segnala, tra il resto, anche un articolo sulla Festa della Fondazione apparso in arabo sulla rivista Ukaz: quello di Muhammad Ali al-Husayni, un religioso sciita molto stimato a livello internazionale e aperto al dialogo interreligioso, in particolare verso i credenti delle religioni monoteiste, cristiani ed ebrei. Il fatto di ospitare un intervento di al-Husayni tradisce un evidente intento di “dimostrare l’ecumenicità della nuova identità saudita”.

Il piano di una presa di distanza dal connubio plurisecolare dinastia-ulema per una modernizzazione del Paese si rileva anche da molti altri indizi e prese di posizione di MbS degli ultimi 5 anni, da quando suo padre, l’86enne re Salman bin Abd al-Aziz (anch’egli favorevole ad una maggiore autonomia reciproca tra Stato e religione), lo ha designato ufficialmente come principe ereditario e primo nella linea di successione al trono. Solo per fare un esempio, un’iniziativa assunta dalla corona fin dal 2016 è l’abrogazione del potere di arresto attribuito in passato al Comitato per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio (la cosiddetta “polizia religiosa”), incaricato di far rispettare la moralità nei luoghi pubblici. In un intervento televisivo del 2021, MbS ha espresso, per fare un altro esempio, l’intenzione di ripensare i fondamenti della giurisprudenza e riformare il sistema giudiziario saudita. Sono noti al grande pubblico internazionale i provvedimenti che consentono la guida alle donne o il loro ingresso (limitato) a stadi e avvenimenti sportivi. Certo lo spazio per i diritti (non solo delle donne) può solo crescere, data la secolare situazione precedente; e la mentalità che i secoli hanno instaurato e mantenuto non si supera semplicemente a parole.

Un aspetto generale che comunque lascia un po’ perplesso l’osservatore esterno è indubbiamente la sottolineatura che sembra prevalere nelle riforme, vale a dire un forte accentramento sullo Stato, e in particolare sulla monarchia saudita, a spese del clero wahhabita. Un centralismo che lascia – sempre agli occhi dell’osservatore esterno non inculturato, naturalmente – più di una perplessità. Ma un percorso verso qualcosa di nuovo pare avviato.

 

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