Laissez-passer

Bertrand Tavernier si è dedicato spesso ad illustrare momenti delicati della storia recente, sforzandosi di capire le ragioni di tutti, senza giustificarle e senza prender le parti di nessuno. Questa scelta di fondo, che egli stesso ha rivelato nelle interviste, va tenuta presente per capire anche quest’ultima fatica, rivolta al mondo del cinema parigino degli anni ’42 e ’43. Si era in pieno collaborazionismo e la Continental, casa di produzione cinematografica, dipendeva direttamente dal ministro nazista della propaganda. Eppure in essa si produssero in quel periodo anche una ventina di film di un certo valore, che presentavano idealità tutt’altro che naziste. Laissez-passer è il frutto di uno studio personale del regista sul comportamento dei colleghi d’allora. Egli si è immedesimato nelle loro decisioni, non facili a giudicarsi, dato che essi si trovarono in una situazione che era a metà strada fra la lotta violenta e il collaborazionismo. Ed ha evidenziato la resistenza che, nonostante questo, quei lavoratori misero in atto, opponendosi soprattutto sul piano ideologico, modo che lui sente congeniale al proprio temperamento. Ci si trova di fronte ad un’opera corale, della durata di tre ore, che presenta molti personaggi e fatti apparentemente slegati fra loro, trattati a volte con vivo senso del dramma, altre con umorismo. Essa mette a fuoco gli stati d’animo legati a quel tipo di opposizione, nella quasi normalità di una vita ordinaria. In Francia il film ha suscitato le polemiche di quanti avrebbero desiderato una critica nei confronti dei collaborazionisti e di una società, che non seppe opporre un forte contrasto ai tedeschi. Ma non è la cosa che Tavernier ha voluto fare. Gli va riconosciuta, invece, la capacità, che è una caratteristica costante del suo cinema, di cogliere con finezza gli aspetti più umani delle varie situazioni, in maniera realistica e non sentimentale, evitando le facili condanne, che nascono quando ci si pone nell’ottica di una contrapposizione fra buoni e cattivi, nettamente separati fra loro. Regia di Bertrand Tavernier; con Jacques Gamblin, Denis Podalydes.

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