La stoffa dell’amore

Il linguaggio della moda e dell’eleganza, per parlare amore, donna, linguaggio del corpo e relazioni.

Sono le 22.30 di sabato 2 giugno. In Largo Saluzzo, nel quartiere multietnico di San Salvario, a Torino, già da un po’ è cominciata la solita, vivace, vita notturna. Questa sera però, lo spazio ottagonale della piazza, all’ombra dei campanili della chiesa dei SS Pietro e Paolo, è occupato insolitamente da una passerella, di quelle che si usano per le sfilate di moda. Il portale della chiesa è spalancato e, in fondo, s’intravede il tabernacolo, con accanto un lume acceso. Sopra alla passerella, un gruppo di quattro giovani ventenni spiega che, di lì a poco, si aprirà un originale défilé “controcorrente”, dove il protagonista non sarà solo l’abito, ma anche la ragazza che lo indosserà, aprendo un confronto tra palco e piazza, intorno alle tematiche dell’amore e delle relazioni.

«Sfateremo il mito che “l’abito non fa il monaco”,» spiega con convinzione Antonia, giovane milanese che lavora nell’ambito dell’organizzazione di eventi «ci renderemo conto della potenza comunicativa del nostro abbigliamento e della percezione che gli altri hanno di noi attraverso ciò che indossiamo. Parleremo di amore e di coraggio ma anche di perdono».

 “La Stoffa dell’Amore” è il titolo dato alla sfilata di moda, inserita nelle attività salesiane della “Movida Spirituale”, pensata e voluta da don Mauro Mergola, parroco salesiano della Parrocchia dei SS. Pietro e Paolo, momento che permette di accogliere molti giovani in uno dei luoghi di aggregazione privilegiati della vita notturna della città di Torino, attraverso incontri e colloqui affiancati a momenti di preghiera, opere di sensibilizzazione ed educazione civica e ambientale.

Il défilé è organizzato in collaborazione con l’associazione Turris Eburnea, realtà che da anni usa il linguaggio della moda e dell’eleganza, per generare un confronto creativo tra i giovani intorno a tematiche come l’amore, la donna, il linguaggio del corpo e le relazioni.

«Nella mia esperienza» racconta Henriette, detta Ori, 22 anni e studentessa di design della moda al Politecnico di Milano «la relazione d’amore tra un uomo e una donna può essere paragonata al processo di creazione di un abito su misura, dall’idea alle finiture, passando per la scelta della stoffa, cioè della persona con cui cucire la relazione. Quindi, se io ho del jersey e ho in mente di fare un cappotto rigido per quanto posso mettermi a stirarlo non funziona, ed è meglio se lo uso per cucire una maglietta. Insomma, se in una relazione le cose importanti per ciascuno sono opposte, o adatto il mio progetto anche sulle esigenze dell’altro, senza trascurare il mio valore, oppure è meglio che trovi qualcuno che ritenga importanti le mie stesse cose!».

E se il vestito si sporca o, peggio, si strappa? Raccontano Madalina, giovanissima torinese d’origine rumena e Gabriele, studente di medicina, anche lui di Torino: «Essere fedeli – come sosteneva lo scrittore Michel Quoist – non è non smarrirsi, non combattere, non cadere. È rialzarsi sempre e sempre camminare, è voler perseguire fino alla fine il progetto preparato insieme e liberamente deciso”».

Insomma, un abito, anche se rotto, può essere sempre riparato. Così, una relazione, se faccio uso di uno strumento chiamato “misericordia”, come approfondisce Gabriele: «Misericordia che devo saper rivolgere verso me stesso, verso l’oggi e soprattutto verso il passato, benedicendo la mia storia e soprattutto ogni mia caduta. Perché non è la caduta, l’errore, ad averla vinta e ad avere l’ultima parola, se io lo voglio: l’ultima parola ce l’ha la riposta che io cerco di dare a questa caduta, la forza che metto nell’affrontare la debolezza che mi fa cadere. E rivolgere il perdono verso di me è la via per poterlo rivolgere anche verso l’altro, chiunque esso sia. Ed ecco che solo nel perdono reciproco una coppia, pur nelle difficoltà che inevitabilmente ci saranno, può trovare la capacità di andare avanti e reinventarsi, qualunque cosa succeda. E ve lo dice uno che è stato perdonato molte volte!».

Alla fine, anche quest’originale sfilata di stoffa e d’amore si chiude, come nella migliore tradizione, con l’uscita dell’abito da sposa: una nuvola bianca indossata da Greta, giovane arpista da poco laureatasi in lettere. A intervistarla è Lorenzo, studente di medicina, che le domanda quale sia per lei il valore dell’abito bianco.

«Chi non ha mai sperimentato nella vita, soprattutto in momenti difficili, il desiderio di qualcosa di tutto e solo bello, di una bontà pulita, di un abbraccio puro, integro?» spiega Greta «Avere questo rapporto con la persona che si ama, amarsi in modo pulito, sincero, fedele, profondo…
Ecco cosa rappresentano per me, questo abito e il suo colore.
E non si tratta solo di una purezza fisica: è una purezza soprattutto morale, interiore.
Il matrimonio è qualcosa di preparato, di vissuto intimamente e profondamente in tutta la sua grandezza e bellezza. È il punto d’inizio di tutto, in una relazione: di una vita nuova in due, tenendosi per mano».

Poi, i ruoli si ribaltano ed è Greta a rivolgersi al cronista: «E tu? Cosa ne pensi del matrimonio?». Risponde Lorenzo: «Per me è prendersi l’impegno di tenere la persona che ami per sempre accanto a te, e credo che quel “Qualcuno” che vi ha fatto incontrare, in quel momento, promette di starti sempre accanto, di darti la forza di portare avanti il tuo amore, con bellezza, serenità e pienezza. 
Sposarsi è dare la vita per un altro, la possibilità di ricominciare sempre insieme».

«La tua ragazza è fortunata ad avere te, che pensi e vivi queste cose, che tratti la vostra relazione con questa bellezza!» commenta Greta. «Deve dirlo lei» sorride ammiccando Lorenzo. «Sì, posso dire di essere davvero fortunata!» risponde giocosa lei, mentre Largo Saluzzo esplode in un boato di sorpresa e applausi.

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