La scuola è una comunità di persone

La scuola è fatta di persone. Tante, di diversa età, genere, provenienza sociale e culturale. Riconoscersi come comunità è la strada per fare la scuola buona. La riflessione di Isabella Loiodice in Quando la scuola educa, di Samuel Casey Carter (Città Nuova, 2016). Edizione italiana a cura di Michele De Beni.
Quando la scuola educa_Casey_Città Nuova

La conoscenza di modelli scolastici altri rispetto a quelli nazionali è un ottimo presupposto per provare a individuare alcuni tratti fondati­vi comuni a ciò che può rendere una scuola “buona”. In un momento in cui, in Italia, la dizione di “buona scuola” è stata variamente inter­pretata, ingenerando spesso discussioni e polemiche che prescindono dal merito specifico della questione, credo sia importante guardare ol­tre il proprio orizzonte nazionale per cogliere quelle suggestioni e quei suggerimenti idonei a migliorare la nostra scuola in funzione dell’inte­resse dei propri studenti e dell’intera comunità scolastica. Infatti, non va dimenticato innanzitutto questo: la scuola è una comunità, fatta di persone – ne Il mio credo pedagogico John Dewey ne esaltava proprio la natura sociale – il cui “capitale intangibile” è costituito dalla ric­chezza delle differenze che si incrociano all’interno di essa: differenze di età, di genere, di ruolo, di provenienza sociale e culturale.

 

Le esperienze presentate nel volume sono un vero e proprio mo­saico di differenze, tutte però accomunate da un obiettivo: porre al centro gli studenti, il loro successo scolastico e la loro felicità, sotto­lineando come si tratti di due obiettivi non alternativi tra loro ma, al contrario, complementari. Ciò rende possibile l’inversione del concet­to di “buona scuola” in “scuola buona”: scuola buona è quella scuola che non sacrifica l’interesse e il benessere di alcuno ma che si consoli­da proprio attraverso la reciproca condivisione e sostegno, che adotta la logica dell’“uno per tutti, tutti per uno”, che non lascia indietro alcuno pur rispettandone la specificità e la differenziazione degli stili, dei tempi, dei livelli di apprendimento.

 

Quello che emerge dall’analisi delle scuole prescelte è proprio l’at­tenzione agli studenti, la conoscenza di chi essi siano e di ciò che è im­portante per loro, prima ancora che alle loro performance scolastiche. Anche perché – questo insegnano le storie di questi istituti – il buon rendimento degli studenti, i risultati eccellenti raggiunti dalla quasi totalità della popolazione scolastica diventano logica e naturale conse­guenza di un modello educativo che non prescinde dalle persone ma che anzi fa leva proprio sulle risorse emotive e cognitive di chi – do­cente, studente, dirigente, genitore – è disposto a mettersi in gioco per l’interesse di tutti coloro che formano quella comunità.

 

La cultura scolastica di cui parla il volume deve dunque avere de­terminate caratteristiche perché dia vita a una scuola buona. Si parla di una “cultura scolastica premurosa ma esigente”; di un concetto di “eccellenza” intesa come la capacità di “fare sempre del proprio me­glio”, non per raggiungere la “perfezione” bensì per “dare il meglio di sé”. A tal fine occorre partire, si dice nel libro, dal creare “relazioni autentiche” tra le persone, strutturare i contesti scolastici perché sia­no fatti per le persone e all’interno dei quali le persone ricevano gli stimoli necessari a impegnarsi con determinazione senza perdere in serenità e felicità.

QUANDO LA SCUOLA EDUCA. 12 progetti formativi di successo di Samuel Casey Carter (Città Nuova, 2016)

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