La piccola scrivana fiorentina

Luisetta: un nome che ti accarezza, che ti fa pensare ad una creatura delicata e gentile. E lo è davvero, nella sua figura minuta, Luisa Del Zanna (per tutti, appunto, Luisetta). Una di quelle persone alle quali si affidano, solitamente, compiti importanti per la loro discrezione, competenza, fedeltà; del cui valore non sempre ci si rende conto perché non appaiono, ma senza le quali certi ingranaggi finirebbero presto per incepparsi. E un compito importante Luisetta lo ha avuto, compito al quale tuttora, alla bella età di 83 anni, dedica le forze residue pur soffrendo le conseguenze di un ictus che l’ha colpita due anni or sono. A lei, infatti, tra le prime, Chiara Lubich ha affidato nel lontano 1967 la sua segreteria personale e più tardi l’archivio che custodisce molti dei documenti dei Focolari fin dagli inizi: quelli che ne tracciano la storia e gli sviluppi e si potrebbero definire pertanto gli Atti degli apostoli del movimento; e soprattutto gli scritti di Chiara stessa, nei quali il carisma dell’unità si esprime nel suo splendore. Un immenso patrimonio di cui oggi, dopo la morte della fondatrice, risalta ancor più il valore e al quale si potrà attingere per i secoli futuri. E ciò grazie alla dedizione di Luisetta e di quanti con lei attendono a questo compito. Prima però di tornare sull’argomento, mi lascio coinvolgere dalla storia della sua vita quasi scusandosi – così pare a lei – di non aver fatti di rilievo da segnalare. Sono nata a Milano ma mi sento piuttosto fiorentina, perché appena un anno dopo la mia nascita il babbo, che era ingegnere, ha avuto il trasferimento a Firenze, ultima sede della sua carriera alle ferrovie. Ho vissuto in una famiglia bella e vivace. Eravamo otto figli: quattro maschi e quattro femmine, di cui la prima è morta bambina. Con una famiglia così numerosa, alternavo lo studio alle magistrali all’aiuto in casa, per alleggerire la mamma. Luisetta sorvola alquanto sul terribile periodo della guerra coi suoi orrori, le sue privazioni, le fughe per sottrarre il padre alle ricerche dei nazisti, la perdita dei beni: tutte esperienze che hanno segnato la sua giovinezza, aggiungendosi ad un altro motivo di sofferenza: Ero piuttosto chiusa e triste per il fatto che ero rimasta piccola di statura: una anomalia di cui i medici consultati all’epoca non avevano saputo trovare le cause. Un fatto nuovo avviene quando, attraverso la sorella maggiore, Luisetta si imbatte in Silvana Veronesi, da Trento venuta a studiare medicina a Firenze e ben presto raggiunta da Lia Brunet: due delle prime focolarine, attorno alle quali comincia a formarsi, in quegli inizi di anni Cinquanta, il primo nucleo della comunità fiorentina dei Focolari. Timida com’è, Luisetta, che non ha mai voluto impegnarsi in qualche associazione cattolica, rimane un po’ sulle sue, pur subendo il fascino di quelle ragazze radiose. C’era qualcosa che mi attirava in quella casetta e spesso, dopo le supplenze alle elementari, mi recavo direttamente lì. Io stessa non ne capivo il motivo e a volte, fermandomi durante il tragitto a pregare in qualche chiesa, lo chiedevo a Gesù. Con tutte le mie incertezze, ho continuato a frequentare quelle ragazze fino a capire che ad attirarmi era la sua presenza in mezzo a loro, di cui spesso mi parlavano. Nell’estate del ’52, Luisetta raggiunge le sue nuove amiche a Fiera di Primiero, dove si sono recate per una vacanza speciale, la Mariapoli, e dove ha modo di incontrare Chiara. È un momento speciale, forse un primo invito – per la giovane fiorentina – a seguirla in questa nuova strada. Eppure a Luisetta questa possibilità non è mai venuta in mente, non ritenendo di avere i requisiti adatti; fra l’altro, nel suo candore, crede che per far parte del focolare occorra saper cantare, cosa che non è da lei. Non è forse consuetudine, in ogni riunione del movimento, intonare canti in voga ai quali però erano stati adattati nuovi testi spirituali? Le ci vorranno ancora due anni per dire il suo sì a quella che le si conferma come una autentica chiamata. Così a Firenze, pur continuando a fare scuola, comincia per lei l’avventura del focolare. Da timorosa e schiva quale era prima, Luisetta sperimenta la libertà dei figli di Dio e quella maternità spirituale che nasce dall’adesione personale a Cristo nel culmine della sua passione e del suo amore: da lì il coraggio di assumersi, negli anni seguenti, le responsabilità che le vengono via via affidate riguardo alla crescente comunità fiorentina. Finché nel ’67 – l’abbiamo già ricordato – viene chiamata personalmente da Chiara a Rocca di Papa, al centro dei Focolari, per occuparsi, insieme ad altre due focolarine, della segreteria, che dagli sviluppi del movimento ha ricevuto un nuovo impulso. Nel 1970, al suo lavoro iniziale consistente nello sbrigare la corrispondenza che arriva da tutto il mondo, si aggiunge un altro compito – la sistemazione dell’archivio – che nel tempo l’assorbirà sempre più. Si tratta, scrive Chiara nell’aprile di quell’anno, di documenti importantissimi che dicono la graduale e sempre più decisa approvazione della Chiesa. È una ricchezza inestimabile per tutti i secoli che verranno. Leggendo certi dossier, hai l’impressione di un magnifico romanzo: la storia di un’opera di Dio. Da allora – racconta Luisetta, che ha anche accompagnato Chiara nei suoi viaggi, dando un nascosto ma prezioso contributo per la stesura dei suoi interventi – è andato crescendo il numero di persone impegnate nel lavoro di segreteria, nelle trascrizioni dei discorsi e nelle traduzioni nelle varie lingue. Non solo: le esigenze di conservazione odierne esigono che certi testi vadano ritrascritti al computer. Siamo arrivate per il momento a sistemare solo – per le lettere e gli scritti – gli anni dal 1939 al 1949: appena un decennio! Il fatto è che Chiara ha scritto e parlato moltissimo; in certi anni solo di discorsi ne ha fatti un centinaio!. Questo fa intendere la mole del lavoro che resta da fare. Luisetta però è tranquilla: sa che altri lo continueranno dopo di lei. A lei basta raccogliere e lasciare tutto in ordine. A lei, cui Chiara ha regalato anni fa una penna stilografica: un dono simbolico, accompagnato da una frase affettuosa che richiama un racconto tratto da Cuore del De Amicis: Per il mio piccolo scrivano fiorentino. UN VADEMECUM PER CHI SCRIVE A sostenere gli inizi del movimento è stata soprattutto la circolazione epistolare fra tutti di notizie, fatti e realtà spirituali. Tuttora – fra gli altri mezzi che lo sviluppo della tecnologia offre – la corrispondenza rimane uno strumento molto efficace per comunicare personalmente con gli altri e alimentare questa comunione. Chiara ne ha parlato in varie occasioni a Luisetta e alle altre incaricate della segreteria. Ecco alcuni appunti di una sua conversazione del gennaio 1979, dai quali si ricava come attuare al meglio questo compito. Non fare mai economia di gentilezza. Una persona che riceve una lettera deve sentirsi una signora, un signore, anche se è un poveraccio, anche se è un ammalato senza forze… Quindi non fare mai economia di amore, di cortesia, perché la carità ha tutte queste sfumature. Non esagerando, non alterando naturalmente le cose. Bisogna trattare tutti in maniera tale che si sentano compresi, consolati; che quella lettera voglia dire, per quelli che la ricevono, che veramente è arrivato qualcosa. Tutti dovrebbero dire: È una giornata importante per me!. Davanti ad una lettera, a una persona ci si ferma, si va a fondo, ci si fa uno. Poi si aspetta, per rispondere, il suggerimento dello Spirito Santo. Non incominciare subito a rispondere al problema, ma prenderla al largo: vedere come sta, darle notizie positive. Anche se occorre dire qualcosa di negativo, saperlo imbottire di amore, tirando fuori prima il positivo, insomma come si parlasse alla persona. Cercare di comprenderla, perché ogni persona è irripetibile. Non si possono fare le cose in serie. È meglio fare una lettera bene, che vada a segno, piuttosto che farne molte. Pensare: che cosa scriverebbe Maria a quella persona, che cosa scriverebbe Gesù? Non bisogna dare delle risposte vaghe, ma precise, esaurienti, altrimenti la persona che la riceve non si sente capita. Immaginare di fare un colloquio privato. La lettera è ancora di più, perché il colloquio passa, la lettera resta; e se è bella, centrata, chi la riceve la legge e la rilegge. Se poi tornano gli stessi problemi, ha sempre la risposta, perché è lì, scritta. Infine anche l’impaginazione sia bella, perché questo dà il senso di onorare la persona, di vedere Gesù nella persona, che così si sente qualcuno. E siccome è qualcuno perché è Gesù, noi dobbiamo metterla al suo posto, dobbiamo fare di tutto per mettere al loro posto queste persone, chiunque siano. Anzi, più poveracci sono, più non sono considerati dagli altri, più noi dobbiamo metterli al loro posto, anche i bambini, così si abituano a trattare gli altri come sono trattati loro. Chiara Lubich

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