La pace dura del Mozambico

Bergoglio parla di pace e riconciliazione nei suoi discorsi, alle autorità e ai giovani di diverse religioni. Perché il Paese è ancora instabile, il rischio della violenza è dietro l’angolo. Il suo invito a non cedere alla rassegnazione e all’ansia
(AP Photo/Ben Curtis)

Il Mozambico accoglie il papa, e lo fa con la passione che gli è propria, ma senza mettere tra parentesi i tanti problemi che l’affliggono, dalla politica conflittuale che talvolta degenera ancora in violenza, all’economia stagnante dal 2014, passando per le disastrose condizioni di salute di tanti, dovute a malattie, a limiti del sistema sanitario ma anche a catastrofi naturali. Come i cicloni Idai e Kenneth che in ottobre e novembre hanno colpito il nord del Paese, zona dove il papa avrebbe voluto recarsi ma che le condizioni logistiche hanno impedito di raggiungere.

All’aeroporto, nella serata del 4 settembre, il passo d’oca dei picchetti d’onore, i tanti saluti alle autorità civili e religiose, gli stretti protocolli diplomatici e di sicurezza non sono riusciti a tarpare le ali e a tacitare la piccola folla di fedeli ammessa in un angolo in disparte della pista d’atterraggio dell’A330 Alitalia arrivato da Roma. Ma, all’avvicinarsi del papa, la folla non ha esitato a rumoreggiare e a muoversi, scatenandosi in ripetute danze e canti che il papa ha seguito con grande partecipazione, visibilmente soddisfatto anche se stanco per le dieci ore di viaggio. Una folla come impazzita di gioia, di fronte «a colui che ci ha benedetti con la sua visita straordinaria», come grida nel microfono giallo il telecronista della tv nazionale, che salta di qua e di là come contagiato dal ballo di san Vito.

E la gente è tanta nelle strade, lungo il percorso di una decina di chilometri tra l’aeroporto e la nunziatura, dove il papa alloggia in questi giorni mozambicani. La gente continua a gridare, a cantare, a ballare, a invocare il papa, e anche i santi, e lo fa persino al passaggio dei van dei giornalisti, considerati alla stregua dei suoi più stretti collaboratori (e lo sono in realtà).

 

La giornata del 5 ha come suo primo appuntamento l’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico nel Palazzo Ponta Vermelha. Appuntamento che non può non essere caratterizzato dalle parole del papa sulla pace, che deve tornare «ad essere la norma, e la riconciliazione la via migliore per affrontare le difficoltà e le sfide che incontrate come nazione». Bergoglio ricorda l’accordo di un mese fa firmato nella Serra della Gorongosa per la cessazione definitiva delle ostilità militari tra mozambicani: «Sono questi germogli – ha commentato il papa – che sostengono la speranza e danno fiducia per non lasciare che il modo di scrivere la storia sia la lotta fratricida, bensì la capacità di riconoscersi come fratelli, figli di una stessa terra, amministratori di un destino comune».

Ma attenzione, la via è faticosa: «La ricerca della pace duratura richiede un lavoro duro, costante e senza sosta. La pace non è solo assenza di guerra, ma l’impegno instancabile di riconoscere, garantire e ricostruire concretamente la dignità, spesso dimenticata o ignorata, dei nostri fratelli, perché possano sentirsi protagonisti del destino della propria nazione». Quindi l’auspicio: «Vi incoraggio a portare avanti il lavoro di consolidamento delle strutture e delle istituzioni necessarie per far sì che nessuno si senta abbandonato. Il percorso dev’essere tale da favorire la cultura dell’incontro e da esserne totalmente impregnato: riconoscere l’altro, stringere legami, gettare ponti. In questo senso, è essenziale mantenere viva la memoria».

 

Tutt’altro clima, rispetto a quello ovattato e in fondo istituzionale delle autorità lo si trova nel palazzetto dello sport chiamato Pavillon Maxaquene, in cui è stato organizzato un “incontro interreligioso con i giovani” che ha un notevole significato in un Paese che ha sì il 35 per cento della popolazione cristiana (28 per cento cattolici), ma che conta anche un 10 per cento di musulmani e una metà della popolazione di culti tradizionali. Saranno presenti 4-5 mila giovani, ma sembrano dieci volte tanti, per il chiasso che fanno, per i cori che si rilanciano l’uno con l’altro, per le hola che si susseguono. Quasi tutti giovani, quasi tutti vestiti con magliette colorate, alcuni a formare una grande bandiera nazionale. Clima bollente, in tutti i sensi.

Sul palco sei leader religiosi attendono il papa tutti impettiti, con un gran contrasto con i giovani della platea e delle gradinate. Arriva il presidente della repubblica, Filipe Nyusi del partito Frelimo (al potere dal 1986!): accoglienza festosa ma nulla di più. Mentre all’arrivo del papa si scatenano dapprima gli applausi e poi, all’unisono, per una trentina di volte, l’intero stadio grida “reconciliença”, riconciliazione. Impressionante l’alternanza tra il grido e il silenzio che scandisce il ritmo. È segno di volontà, ma forse anche di credere che la pace è ancora possibile.

Prende infine la parola il papa, che finalmente riesce a tacitare la folla che lo applaude. E, ispirandosi allo slogan iniziale, nel corso del suo discorso invita più volte i giovani a ripetere delle parole, com’è tradizione anche nella Chiesa sudamericana: «Non è buono darsi per vinti», «l’inimicizia sociale distrugge», «gli anziani sono le nostre radici»…

Inizia con una domanda retorica: «Cosa c’è di più importante per un pastore che incontrarsi con i suoi giovani? Voi siete importanti! La gioia di vivere è una delle vostre principali caratteristiche, come si può sentire qui, e diventa il miglior antidoto per smentire tutti quelli che vogliono dividere, frammentare o contrapporre». Entra quindi nel vivo del discorso: «Grazie di essere qui alle diverse confessioni religiose. Tutti siamo necessari con le nostre differenze, ma necessari. Voi, giovani, camminate con due piedi come gli adulti, ma, a differenza degli adulti che li tengono paralleli, ne avete sempre uno davanti all’altro, pronti a partire, a scattare».

Quindi una domanda invece per nulla retorica, insieme spirituale e sociale, se non politica: «Come realizzare i sogni, come contribuire a risolvere i problemi del Paese? Mi piacerebbe dirvi: non lasciate che vi rubino la gioia. Non smettete di cantare e di esprimervi secondo tutto il bene che avete imparato dalle vostre tradizioni. Ma bisogna stare attenti a due atteggiamenti che uccidono i sogni e la speranza: la rassegnazione e l’ansia».

Il papa si lancia quindi in una inusuale disquisizione sportiva, riesumando la figura di Eusebio da Silva, la “pantera nera”, che gli consente di parlare della rassegnazione, uni dei nemici del dialogo e della pace: «Le gravi difficoltà economiche della sua famiglia e la morte prematura di suo padre non impedirono i suoi sogni che lo hanno spinto avanti, ma è stato altrettanto importante trovare con chi giocare. Già molto si è sofferto e si continua a soffrire, perché alcuni si credono in diritto di decidere chi può “giocare” e chi invece deve restare “fuori dal campo”, alcuni che passano la vita a creare divisione e contrapposizione. È importante non dimenticare che l’inimicizia sociale distrugge. E una famiglia si distrugge per l’inimicizia. Un paese si distrugge per l’inimicizia. Il mondo si distrugge per l’inimicizia. E l’inimicizia più grande è la guerra».

E cita il noto proverbio: «Se vuoi arrivare alla svelta, cammina da solo; se vuoi arrivare lontano, vai in compagnia». Aggiungendo: «Si tratta sempre di sognare insieme, come state facendo oggi. Sognate con gli altri, mai contro gli altri». E mette in guardia anche contro l’ansia: «Giocare insieme ci insegna che non solo la rassegnazione è nemica dei sogni, ma anche l’ansia. Questa «può diventare una grande nemica quando ci porta ad arrenderci perché scopriamo che i risultati non sono immediati. I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta».

Infine, un accenno agli anziani, siamo in Africa, impossibile non parlare del dialogo intergenerazionale, che è trasversale a tutte le religioni: «Anche i vostri anziani – ha detto – possono aiutare affinché i vostri sogni e le vostre aspirazioni non inaridiscano, non siano spazzati via dal primo vento di difficoltà o di impotenza. Gli anziani sono le nostre radici. Voi dovrete fare la vostra sintesi, ma ascoltando, valorizzando quelli che vi hanno preceduto».

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