La mia vicina del posto 5a

In fondo sono sconosciuti, e sconosciuti resteranno, o no? Che cosa mi accomuna a questi “altri”?
Sul treno

Amare il fratello non è solo amare il prossimo. Se dico “amare il prossimo”, posso ancora sentire una certa confortevole distanza tra me e lui, un sano distacco emotivo come quello tra terapeuta e paziente: mi lascio coinvolgere, son lì per lui e con lui, ma l’ora dopo il paziente è un altro, il momento dopo il prossimo è un altro. Un sano distacco emotivo, dicevo, per certi aspetti è necessario, ma talvolta potrebbe diventare una scusa comoda per non amare fino in fondo, per mettersi in gioco solo a metà.
Amare il fratello, invece, vuol dire amare uno di casa, uno con cui condividi il pane e le merendine e il Dna e il padre e la madre. Vuol dire amare uno a cui resterai legato per sempre, al di là della tua volontà persino, al di là delle vicende perché te lo porti dentro, è fatto di te come tu sei fatto di lui. È l’origine comune, è per questo che le lotte fratricide o i conflitti in famiglia sono tanto penosi. Possiamo venire da dove vuoi, ma veniamo entrambi e tutti dallo stesso luogo: tutti dal seno del Padre. Tutti, perché se amo mio fratello, allora amo mia sorella e le mie sorelle e i miei fratelli, che ci assomigliamo o no, che ci piacciamo o meno. Conosco tutti i loro difetti, eppure ugualmente amo. E come accade in famiglia, l’amore passa nei gesti concreti prima ancora che nelle parole, nelle quotidianità degli atti di attenzione reciproca, senza tanti complimenti, senza tanti fronzoli. È un amore essenziale, di testa-cuore-muscoli, per cui si guarda al bene dell’altro, ci si prende cura dell’altro, senza se e senza ma, semplicemente perché «… è pur mio fratello».
 
Sto tornando a casa, in treno. Sono stati due giorni di lavoro intenso, ora è sera e sono stanca, il viaggio sarà lungo. La tentazione di chiudermi nella mia stanchezza è forte, di fare come se gli altri non esistessero. Mi sistemo nel posto 5b, carrozza 8. In fondo sono sconosciuti, e sconosciuti resteranno, o no? Che cosa mi accomuna a questi “altri”, oltre all’odore appiccicoso di questi treni vecchi? Non è solo una combinazione, che ci porta a condividere un tragitto? La metafora con il treno della vita sorge fin troppo spontanea.
Sorrido alla vicina di posto, il 5a. Non troppo, un sorriso piccolo, il massimo che la mia timidezza permette. Ottengo un sorriso in risposta, mi sento un po’ meno stanca, un po’ meno lontana da casa.
Se Dio è Padre, allora ogni prossimo è mio fratello.

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