La macchina del bel tempo

Articolo

De Chirico, enigmatico e istrionico come l’Apollo del Belvedere con un guanto di gomma. Dopo anni in cui le esplosive avanguardie del Novecento ne hanno fatte di tutti i colori, il padre dell’arte metafisica inverte la rotta e implode recuperando la tradizione dei soggetti e della tecnica pittorica. Non dobbiamo essere originali, ma originari, afferma l’artista, quasi a denunciare il naufragio di chi ancora vuole inventare qualcosa di nuovo; qualsiasi trovata gli sembra già consumata, mentre appare più sensata una meditata rivisitazione dell’arte del passato. E come visioni ecco ricomparire bianche statue e altisonanti busti classici su tele odoranti di antico e di trementina; ecco dal rinascimento l’asciutta prospettiva tanto deprecata proprio dai movimenti artistici del primo Novecento. Ma il recupero delle origini non si può dare tale e quale; il presente non può svanire di colpo in favore del passato. È così che le antichità convivono fianco a fianco con i brani più sfacciati e dozzinali di una quotidianità ormai non troppo recente: orologi, guanti di gomma, treni a vapore, oggetti banali che affiancati alla nobile arte classica creano uno spaesante effetto di cortocircuito; emblematici in tal senso gli occhiali da sole sul busto in gesso di Apollinaire dove il mistero cede il passo all’ironia. Allo stesso modo le pavimentazioni in prospettiva presentano un deciso scarto rispetto a quelle rinascimentali in quanto qui, com’è noto, i punti di fuga non coincidono mai. Lo spazio impossibile che si viene a creare confina inesorabilmente ogni oggetto in una nostalgica e schizofrenica memoria. Non è più uno spazio fisico ma, per l’appunto, metafisico. Nonostante gli improbabili incontri fra cose e luoghi lontani nel tempo, certi quadri di De Chirico riescono a raggiungere una malinconia struggente, come nelle celebri Piazze d’Italia, dove le lunghissime ombre portate, più che alla tarda ora del giorno, sembrano alludere al tramonto di una glorioso passato, trattenuto ancora per un attimo nella segreta conversazione di due passanti che lo sguardo complice di un monumento antico consegna per sempre all’eternità. Nella giostra delle citazioni troviamo anche la Natura morta. L’effetto metafisico dello spaesamento sta nel fatto che ora la frutta non si limita alle classiche mele o all’uva, soggetti che da Adamo ed Eva fino alla Vanitas si sono caricati di significati alti e simbolici. Qui troviamo invece frutta decisamente più prosaica: carciofi, ananas e banane fin troppo mature che, affiancate agli immacolati busti classici, creano quel cortocircuito che da un lato banalizza anche lo scenario più malinconico, dall’altro lo attualizza, risvegliando nello spettatore lo stupore e una sottile e persistente vena di mistero. Ma il cortocircuito della memoria si fa sempre più allucinante e gli oggetti prima accostati presto si compongono insieme: un campionario di sarti e geometri fatto di squadre, righelli e metri costruisce i manichini senza volto, sempre più sospesi tra il sogno e la realtà. Forse il merito più grande della mostra padovana sta nell’aver messo insieme un campiona- rio di tutta l’opera di De Chirico, anche di quella che non è strettamente metafisica. Dal 1919 l’artista abbandona i toni asciutti e astratti, le statue antiche e la prospettiva quattrocentesca per dedicarsi al recupero di un passato più vicino, ripercorrendo il classicismo del Cinquecento, il Barocco… Ma il cambiamento di stile viene condannato dal pubblico, dalla critica e dagli stessi amici surrealisti che nel ’26 celebrano il funerale simbolico del grande maestro. Ammirato e celebrato per la sua pittura metafisica, contestato e ignorato per la sua fase barocca, De Chirico, per risposta, continua a scioccare tutti mutando nuovamente stile e recuperando i toni asciutti dei suoi esordi. Fra lo sdegno dei benpensanti abbiamo il primo artista che cita sé stesso, copiando le proprie rappresentazioni con le tele bellissime e più che mai metafisiche degli anni Trenta. Pochi, ancora oggi, capiscono che nelle ultime stanze del suo museo ideale De Chirico trova le proprie opere riconosciute e apprezzate dal grande pubblico internazionale. Anch’egli è entrato nel circuito della storia dell’arte, anch’egli può essere citato e rivisitato, anche da sé stesso! Alla chiusura del cerchio la sua opera pare quasi un ironico e consapevole messaggio che dall’antica Vanitas riecheggia fino ai nostri giorni: Tutto passa… e tutto torna.

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