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Caos geopolitico, Usa e Israele contro l’Iran 

di Maurizio Simoncelli

- Fonte: Città Nuova

La strategia di Netanyahu e le svolte repentine di Trump stanno minando le regole del diritto internazionale, aprendo uno scenario sempre più insicuro

Il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, e quello di Israele, Benjamin Netanyahu. Ansa, EPA/SHAWN THEW

Queste sono ore buie in cui le relazioni internazionali vengono sottoposte alla legge del più forte. L’aggressione russa all’Ucraina era sembrata un fatto sconvolgente per la sua brutale attuazione, ma le vicende successive al sanguinoso attacco di Hamas del 7 ottobre, con la distruzione da parte di Israele di Gaza e dei suoi abitanti senza distinzione alcuna ormai tra civili e non, hanno segnato un’altra tappa in questo viaggio nella barbarie. 

L’attacco contro Teheran rappresenta un’altra fase di questa escalation bellica, nel quale intervengono apertamente gli Stati Uniti di Trump, sostenendo la tesi che l’Iran stesse per dotarsi dell’arma nucleare (narrazione già utilizzata a suo tempo per l’Iraq di Saddam Hussein nel 2003, diversamente invece del falso incidente navale del Tonchino del 1964 che avviò la guerra del Vietnam). L’AIEA, per bocca del suo capo Rafael Grossi peraltro non la conferma, dato che non aveva rilevato prove evidenti in tal senso, dichiarando «mai detto che l’Iran stia costruendo un’arma nucleare».  La stessa intelligence statunitense, tramite la sua direttrice Tulsi Gabbard, aveva comunicato che «Teheran non stava costruendo l’arma». Tel Aviv e Washington vanno però avanti lo stesso.

Infatti l’Iran, come è noto a livello internazionale, ha firmato il Trattato di Non Proliferazione e al momento utilizza legalmente il nucleare a scopi civili come previsto dal TNP. Per di più Teheran aveva aderito al JPCOA – Piano d’azione congiunto globale, un accordo internazionale (con Cina, Russia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania) teso a limitare le attività nucleari di Teheran in cambio della revoca delle sanzioni internazionali. 

L’accordo, raggiunto nel 2015, stabiliva limiti all’arricchimento dell’uranio, alla quantità di materiale fissile e prevedeva ispezioni internazionali. Nel 2018, gli USA di Trump, a seguito delle pressioni israeliane, si sono ritirati dall’accordo, ripristinando unilateralmente le sanzioni e facendo sì che l’Iran riducesse di contro il rispetto parziale dei suoi impegni. Mentre i colloqui con gli USA venivano ripresi diplomaticamente in queste settimane, Israele ha attaccato con il sostegno statunitense, che per bocca di Trump poi minaccia Teheran di distruzione totale se non vi è la resa (“la pace con la forza”). 

È la fine della diplomazia e in particolare del regime di controllo del TNP che prevede che i suoi sottoscrittori possano utilizzare l’energia nucleare a scopi civili e non debbano essere minacciati da altre potenze nucleari. Certamente Israele, che si è dotato clandestinamente dell’arma nucleare al di fuori del TNP, non è tenuto legalmente a rispettarlo, ma la Casa Bianca, che ne è firmataria, avrebbe dovuto, minando platealmente la stessa credibilità statunitense. Questo grave vulnus al diritto internazionale lascia aperta la porta a comportamenti nell’ambito dei quali la forza armata è la scelta privilegiata contro i più deboli.

Il fatto poi che degli stati si arroghino unilateralmente il diritto di applicare delle sanzioni contro un altro Paese e obblighino Paesi terzi ad applicarli è un ulteriore atto di politica imperiale, che opera contro il multilateralismo, approccio basato sulla diplomazia e fondante le relazioni dei decenni precedenti. Allora si raggiunsero tanti accordi in materia sia nucleare (TNP, vari trattati su aree denuclearizzate, New Start, TPNW) sia convenzionale (Open Skies, bando mine antiuomo, bando cluster bombs, ATT ecc.), che sono stati denunciati, sospesi o non rispettati in questi ultimi anni del XXI secolo.

Il diritto internazionale è l’elemento primo che evita la legge della giungla, dove il Paese più forte (con i suoi vassalli) spadroneggia basandosi sul proprio potenziale militare e dove il confronto con le altre potenze è fondato sulla guerra e sulla distruzione degli oppositori. Non a caso da parte soprattutto occidentale si è duramente condannata l’invasione russa dell’Ucraina, ma per poi tacere su Gaza.

Nella fase in cui il diritto internazionale non viene più rispettato e le stesse istituzioni vengono delegittimate (ONU, UNRWA, Corte penale internazionale, AIEA ecc.), riconoscendone l’azione solo quando interessa, come nei casi opposti Putin-Netanyahu, si viene proiettati in un teatro dove i più forti tentano brutalmente di spartirsi il mondo e le sue risorse (non dimentichiamoci mai che il Medioriente, Iran compreso, è anche ricco di idrocarburi).

È a questo che stiamo assistendo quando il governo israeliano, con l’appoggio statunitense, sta sistematicamente proponendosi come superpotenza regionale non solo espandendosi sull’intera Palestina, ma anche colpendo variamente Libano, Siria e Iran. A questo proposito va ricordato che circa trenta anni fa l’influente neocon PNAC Progetto per il nuovo secolo americano proponeva un riarmo degli USA come leader mondiale e uno “smantellamento” di alcuni Paesi mediorientali, come l’Iraq, la Libia, la Siria e l’Iran, avvenimenti realizzatisi tragicamente nel corso di questo secolo.

Gli scenari che si aprono con questa nuova crisi sono preoccupanti, perché Teheran da un lato è teoricamente appoggiata da Mosca e da Pechino, dall’altro può bloccare il traffico navale nello Stretto di Hormuz, nel Golfo Persico, causando uno shock petrolifero mondiale. Infine, da parte sua, il Pakistan nucleare esprime posizioni filoiraniane, con tutto quello che si può immaginare.

L’imprevedibilità dell’azione rude di Trump è un ulteriore elemento destabilizzante. Lo abbiamo visto nella vicenda dei dazi e delle sue conseguenze immediate sulle borse, con grosse perdite finanziarie. Ora in questo scenario i suoi movimenti appaiono degni dell’elefante nel negozio di cristalli, visto che precedentemente aveva asserito più volte il disinteresse per il teatro mediorientale ed ora ci si trova coinvolto, scontentando anche parte del suo elettorato senza aver risolto neppure la vicenda ucraina. 

Non si capisce se Trump abbia dato deliberatamente il via libera a Netanyahu in questi ultimi mesi per i massacri continui di civili a Gaza e per l’attacco all’Iran, o se stia subendo l’iniziativa del governo israeliano, cercando di non perdere la faccia come leader mondiale. È possibile pensare che Trump sia interessato a normalizzare il quadro mediorientale per dedicarsi all’obiettivo cinese, ma presuppone una razionalità che per ora non emerge coerentemente.

Intanto Pechino sta a guardare Washington che gestisce una politica estera alla giornata e a volte contraddittoria, con Trump che imperversa attaccando con virulenza gli alleati dell’UE e della NATO, blandendo e polemizzando contemporaneamente con Putin e Zelensky, avviando trattative con Teheran per minacciarlo e poi attaccarlo il giorno dopo, proponendo resort turistici di lusso a Gaza, nonché ampliamenti territoriali degli USA a spese di Panama, Groenlandia e Canada. 

La Cina, assistendo apparentemente tranquilla all’impantanarsi degli USA negli scenari europeo e mediorientale, prosegue nella sua espansione commerciale/finanziaria (vedi anche il recente accordo con il Sud Sudan) e nella sua pressione su Taiwan, l’isola dalle uova d’oro per la sua centrale produzione di microchip. Pechino rileva che gli attacchi sono “una violazione del diritto internazionale”, a futura memoria delle sue mire geopolitiche sul Mar Cinese Meridionale.

In questa fase di accelerato caos geopolitico, l’UE non riesce a prendere una concreta posizione unitaria a favore della pace e di condanna dei massacri in corso a Gaza, neppure a difesa del JPCOA, in cui erano coinvolti Parigi, Berlino e Londra, limitandosi a generici appelli che lasciano il tempo che trovano, mentre è impegnata nel piano di riarmo europeo da 800 miliardi di euro (approvato dalla Commissione e sottratto al Parlamento, piano a cui però non aderiscono tutti i 27 Paesi, ad ulteriore prova dello stato confusionale della politica europea).

Avanti a tutta forza, verso però dove non si sa

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