La fame nel mondo non diminuisce

Marelli, ci risiamo, il recente rapporto della Fao ha evidenziato che, anziché diminuire, il numero di persone affamate aumenta. Cosa non si è fatto di quello che durante il vertice di dieci anni fa, 185 capi di Stato e di governo si erano promessi di fare? Fondamentalmente è stato fatto quasi niente. Questo, purtroppo lo riconosce anche la Fao perché i dati presentati a fine ottobre, in occasione del cosiddetto Special Forum, cioè la riunione dei governi per valutare dieci anni dopo appunto che cosa è stato fatto, sono incontrovertibili. Dicono ancora che se cambiamento c’è stato, è stato in negativo. Quindi resta questo macigno sulla responsabilità di tutti per il quale 860 milioni di persone soffrono la fame. ¦ Da una parte le quote dei bilanci nazionali destinate alla cooperazione non corrispondono all’impegno preso, dall’altra però anche le strategie degli organismi internazionali spesso risultano poco funzionali. È così? La società civile chiede continuamente una riforma delle agenzie internazionali delle Nazioni unite in particolare in due direzioni: nel senso di una maggiore efficienza e di una più diffusa democrazia. Per l’efficacia occorrerebbe una riconsiderazione degli enormi costi di queste agenzie, una cura dimagrante per utilizzare meglio le risorse a favore di progetti e iniziative più corrispondenti ai bisogni dei poveri del mondo. Per sviluppare una maggiore democrazia, è necessario che le agenzie delle Nazioni unite, compresa la Fao, non siano condizionate solo o prevalentemente dalle decisioni dei governi ricchi ma ascoltino anche le esigenze dei paesi poveri. Questa critica però non può mai essere disgiunta da un’altra che è quella rivolta ai singoli governi, perché è chiaro che gli organismi sovranazionali possono agire solamente dentro i limiti dati loro dai governi membri, sia in termini di risorse e di strumenti, sia in termini di mandato per poter agire sui principali problemi del mondo. Quindi la responsabilità prima è quella dei governi e poi sicuramente anche di queste agenzie internazionali. ¦ Sembrerebbe che in alcune zone del mondo si sia raggiunta una certa riduzione del numero degli affamati, mentre chi paga il prezzo più alto è sempre l’Africa. Ci sarà una via d’uscita, qualche segnale di inversione di tendenza? È vero che vanno riconosciuti dei miglioramenti in alcune aree dove peraltro è interessante notare che non sempre ciò è legato all’aumento della ricchezza, cioè del pil, ma piuttosto è il risultato di politiche di ridistribuzione più responsabile delle risorse. Purtroppo l’Africa in qualche modo rimane la grande macchia nera sul nostro planisfero, un continente che registra indici peggiorativi assolutamente preoccupanti. In quanto ad una via d’uscita, bisogna distinguere tra la realtà e la speranza. La speranza è molto alta, cioè si spera che finalmente i governi si rendano conto che invertire questa tendenza significa impegnarsi nei confronti dei poveri, ma significa anche essere responsabili nei confronti della sicurezza, della pace, del futuro delle nostre società ricche. Perché fino a quando miliardi di persone quotidianamente vedono violati i propri diritti fondamentali, è chiaro che possono attecchire di più la violenza, i fondamentalismi, il terrorismo, che aumenti il fenomeno dei rifugiati, di coloro i quali emigrano, lasciano le loro terre di origine. Sicuramente la speranza c’è. La realtà è ben distante perché segnali di inversione di tendenza ancora oggi ne abbiamo molto pochi. Però non bisogna confondere le possibilità che ci sono, le risorse disponibili, con la volontà, che sembra essere quella più latitante.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons