La città ultima consegna

La realtà urbana, crocevia di sfide dovute alal globalizzazione, è per la Lubich il trampolino verso il mondo unito.
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Era il ’98, eravamo appena sbarcati a Palermo, due giorni dopo di lei. Chiara volle che, prima di partecipare al suo incontro con la cittadinanza, ascoltassimo una documentazione preparata per lei: un ritratto vivace e sentito, fatto da palermitani resi attenti dal carisma dell’unità alle proprie radici, alla propria storia civile e religiosa. Ci disse: «Per capire cosa sta succedendo, prima dovete conoscere Palermo!».

Venivano alla mente le parole di La Pira rivolte, il 2 ottobre 1955, a sindaci di tutto il mondo giunti a Firenze: «Le città hanno una vita propria, hanno un loro essere misterioso e profondo: hanno un loro volto. Hanno, per così dire, una loro anima ed un loro destino: non sono cumuli occasionali di pietra, sono misteriose abitazioni di uomini e più ancora, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio».

Per Chiara, la donna riconosciuta, per il suo carisma, ispiratrice della fraternità universale, la città è sempre stata un’opportunità, una dimensione da cui non si poteva prescindere. Eravamo ragazzi e, “consegnandoci” gli ultimi confini del pianeta come orizzonte, ci chiariva che l’unica strategia per costruire il mondo unito era puntare sulla vocazione all’unità di ogni singola convivenza umana in cui eravamo immersi. «Morire per la propria gente» fu lo slogan che caratterizzò, per noi gen, seconda generazione, il nuovo approccio alla realtà cittadina.

E le esperienze si moltiplicarono. Così come era avvenuto ogni volta che una nuova comunità del movimento aveva preso il via, ovunque nel mondo. Sulle orme di Chiara e delle sue prime compagne, si è andata concretizzando, ovunque, dentro la misura della città, la luminosa esperienza dell’essere amati da un Padre e la conseguente decisione di vivere secondo la sua legge dell’amore reciproco.

 

Una famiglia, segnata dall’arrivo di un figlio con handicap, è diventata, nel proprio quartiere, nucleo fondativo di un’associazione familiare che, coinvolgendo istituzioni pubbliche e private, ha trovato nuove forme integrate di assistenza e di inserimento in un quartiere di una grande città. Qualcuno dice, adesso, in quel quartiere di Roma, che di Infernetto è rimasto solo il nome.

Un gruppo di ragazzi, partendo da una iniziativa sportiva per i loro coetanei, sono divenuti punta di diamante di una comunità che con i suoi rappresentanti istituzionali rende più vivibile la propria città, rivisitando anche i rapporti con i comuni vicini.

Un sacerdote, non volendosi arrendere all’anonimo contatto forzato della ressa mattiniera nella metropolitana, ha cominciato a salutare per primo: in pochi mesi si è creata una rete di amicizie che sta appassionando 200 persone.

Un consigliere comunale ed un gruppo di cittadini si coinvolgono, durante l’intero mandato, per non perdere di vista il progetto, superando l’uno la tentazione di sentirsi delegato dal voto a governare, gli altri quella di sfruttare l’amicizia “influente” per sé stessi.

Diversi sindaci dell’interno del Paraguay, sottoscrivono un patto istituzionale “fraterno” per non soccombere alla corruzione e sviluppare in modo sostenibile le loro città. Pochi anni dopo l’esperienza viene fatta propria e ripetuta da alcuni sindaci italiani, secondo la stessa ispirazione.

 

Se si guarda a questi sessanta anni di vita che da Trento si è moltiplicata ovunque, alle piccole o grandi comunità unite che vivono in megalopoli come in piccoli villaggi di montagna, in quartieri degradati come in tranquille cittadine di provincia, ci si accorge che è possibile individuare alcuni passi che caratterizzano, senza spegnerne la diversità, questa esperienza di incontro con la città.

Prima caratteristica è la strategia “dei piccoli gruppi”: si intessono reti di rapporti reciproci veri che man mano attirano altri candidati all’unità, senza pregiudizi, mettendo in moto ricchezze inimmaginate. Chiara l’ha genialmente riassunta in questa espressione: «Se siamo uno, tutti saranno uno».

Una scelta appare sempre prioritaria e fondamentale: prendere, per ogni iniziativa, come misura il minimo, non azioni per gli ultimi, ma con gli ultimi. Andare fuori dal “cerchio” e puntare lì il compasso, per ridisegnare la città e renderla vivibile per tutti.

Ogni piccolo gruppo sente la responsabilità di poter mettere in moto un circolo virtuoso, ma si percepisce indispensabile il rapporto con chi ha il mandato del governo della città: c’è una potenzialità di servizio dentro le istituzioni che va stimolata e accompagnata. E così anche con le autorità religiose puntando sul loro indispensabile compito di tenere aperta la comunità sugli orizzonti dell’infinito.

Non manca mai un’altra caratteristica: quella contenuta fin dal titolo nel noto scritto di Chiara Una città non basta. Il mondo unito sarà realtà solo se l’amore scambievole verrà vissuto non solo tra i singoli, ma anche tra le città e tra i popoli.

Ma ora c’è un’ulteriore provocazione! Chiara ci ha lasciato come sua ultima grande sfida: un “cityfest”.

Un impegno rinnovato per la città come occasione per realizzare la sua eredità – “essere sempre famiglia” –, che diventa dono all’umanità, una corrente di vita che coinvolga le città dove vivono comunità del movimento. C’è il desiderio di amare la propria città con un amore concreto, basato sulla ricerca di quel mistero che in ogni città deve essere rivelato, dove ferite e risorse, passato e futuro, diventano componenti di un unico disegno: il mondo unito nella fraternità.

Un cityforum, a Curitiba, in Brasile, nel 2010 ne sarà la vetrina. Un incontro tra città, che proporranno, convenute da tutto il mondo, colorate di culture e sensibilità diverse: “Città unite per un mondo unito. Istruzioni per l’uso”.

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