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Israele e la guerra: realtà e narrazioni

di Bruno Cantamessa

- Fonte: Città Nuova

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

La guerra di Gaza, che si è estesa al Libano, alla Siria, all’Iran, allo Yemen, ecc. continua ormai da più di 18 mesi, dopo la breve tregua. Nei giorni scorsi il premier israeliano Netanyahu è stato convocato a Washington dal presidente Trump. Intanto in Israele si allarga la spaccatura fra paese reale e governo.

Seguire i discorsi di Trump e Netanyahu nell’ultimo incontro alla Casa Bianca dei giorni scorsi mi fa cadere le braccia. Il presidente statunitense Trump si lamenta che Israele non avrebbe mai dovuto concedere ai gazawi (i cittadini palestinesi di Gaza) di stare nella Striscia di Gaza: per il presidente statunitense i gazawi sarebbero quindi profughi parcheggiati, non abitanti della Palestina.

Poi parla sulla “proprietà immobiliare” americana di Gaza o, in alternativa, come 52° Stato Usa, dopo la Groenlandia come 51°. Quindi i due discettano sulla pace che verrà “trasferendo” i 2 milioni di gazawi: già, ma dove? In Sud Sudan o in Somalia? Forse sarebbe meglio in Indonesia, che ha dato la sua disponibilità a riceverli, ed è più lontana.

Netanyahu, da parte sua, sembra rimanere male per l’iniziativa Usa di trattare direttamente con l’Iran sul nucleare, in Oman. Il premier israeliano avrebbe forse preferito bombardamenti definitivi sui siti nucleari iraniani. Dazi? Il tycoon non arretra dal 17%, che in soldoni significa per Israele una perdita di 2,3 miliardi di dollari e 26 mila israeliani senza lavoro. Con la guerra che costa 270 mila dollari al giorno, non c’è proprio da scialare.

Nei programmi del leader israeliano c’è da tenere a bada la Siria smilitarizzandone tutto il Sud (Quneitra, Deraa e Suweida), mandare segnali minacciosi alla Turchia. Vuole poi stroncare gli Hezbollah libanesi demolendo bunker e case a Beirut. Soprattutto, c’è da finire quel che resta di Hamas. Tutti programmi molto costosi.

Ci sono anche i 59 ostaggi israeliani (forse metà dei quali vivi). Nonostante molte decine di migliaia di civili (tutti terroristi!) uccisi e milioni di affamati (con qualcuno di loro che tenta perfino di protestare), sembra che Hamas non abbia alcuna intenzione di arrendersi. Avrebbe rifiutato con arroganza le “ottime” proposte statunitensi: uscita sicura dei militanti da Gaza, un dignitoso esilio, perfino garanzie finanziarie e assicurazione di non essere colpiti in seguito.

E in Israele? Dopo 18 mesi di guerra, nella “Striscia” risulterebbe ancora agibile il 75% dei tunnel di Hamas (compresi quelli dall’Egitto attraverso i quali arrivano le armi), mentre un sondaggio di Channel 12 (riportato da The Times of Israel) afferma che il 69% degli israeliani sarebbe favorevole ad un accordo con Hamas per riportare a casa tutti gli ostaggi (vivi e morti) e porre fine alla guerra. Lo stesso sondaggio sostiene che il 70% della popolazione israeliana non si fiderebbe più del governo. Un po’ di più di Netanyahu, ma molto meno del suo governo.

In Israele c’è un’iniziativa annunciata di pace (che in quanto tale, i “falchi” ovviamente bollano come patetica e di sinistra). Si farà a Gerusalemme fra poco, l’8 e 9 maggio, il People’s Peace Summit. Iniziativa che ha già ricevuto l’adesione di oltre 60 organizzazioni della società civile israeliana, «unitariamente impegnate da tempo per porre fine al conflitto attraverso un accordo politico che metta fine all’apartheid e garantisca i diritti di entrambi i popoli all’autodeterminazione e a un futuro di credibile sicurezza». Il titolo della manifestazione è molto secco: It’s time (È ora). Info su www.timeisnow.co.il.

Non è la prima volta, anzi è il terzo appuntamento nell’ultimo anno: il primo è stato il Peace Camp del 1° luglio 2024: 6 mila persone presso l’Arena Menora Mivtachim di Tel Aviv; il secondo, del dicembre scorso, era stato un percorso di 6 giorni in diverse comunità ebraiche e palestinesi: The People’s Peace Journey.

Tra i promotori e animatori delle iniziative ci sono due israeliani ormai noti a livello internazionale: Maoz Inon, ebreo che ha perso i genitori il 7 ottobre 2023 in un kibbutz al confine con la Striscia di Gaza, e il suo amico palestinese Aziz Abu Sarah, di Betania, che ha perso suo fratello Tayseer, morto in seguito alle botte ricevute in un carcere israeliano. Sono i due attivisti che hanno incontrato papa Francesco a Verona il 18 maggio 2024.

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