Io, Chiara Lubich e quella vocazione

Novant'anni fa nasceva la fondatrice dei Focolari. Nelle parole ad "Avvenire" di padre Casimiro, il frate che ispirò la sua vocazione, il racconto degli esordi di un carisma rivoluzionario.
Casimiro Bonetti

Era solo un giovane frate, padre Casimiro da Perarolo, quando nel 1942 si sentì rivolgere una di quelle domande che, sotto la cenere, covano la miccia degli eventi epocali: «Perché non viene a predicare su da noi? Ci sono tre maestrine, che imparino qualcosa su san Francesco!». A parlare era padre Bruno da Verla, che sui monti di una Trento sventrata dalle bombe dava ricovero a decine di orfanelli mentre a valle la guerra infuriava.

«Avevo appena finito gli studi – racconta oggi padre Casimiro, 95 anni portati con estrema lucidità e ruvido vigore -. Il Superiore provinciale mi aveva affidato il Terz’Ordine francescano, così io andavo in giro a predicare. Anche quel giorno nell’orfanotrofio di Cognola alle tre giovanissime maestre parlai dell’ideale di san Francesco, del suo "fuoco d’amore". Alla fine chiesi loro che cosa ne pensassero e una sola, Lubich Silvia, mi rispose con parole che non ho mai dimenticato: "Padre, io non avevo mai sentito cose del genere. Voglio anch’io questo fuoco d’amore, voglio portarlo nel mondo". La guardai e la vidi ardere dello stesso fuoco». Presto la maestrina Silvia da Trento, anni 22, diventerà Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari, la donna che farà del Vangelo la sua potente rivoluzione fondando una nuova corrente di spiritualità, fino a raccogliere uomini e donne di ogni categoria sociale, età, razza e cultura nel mondo intero. Tra molti anni ai cattolici si uniranno cristiani di altre Chiese, ebrei, musulmani, buddisti, non credenti, tutti misteriosamente attratti dal suo linguaggio universale. Prima donna cristiana, la Lubich sarà chiamata a parlare davanti a diecimila buddisti a Tokyo, a migliaia di islamici afro-americani nella moschea di Harlem a New York, alla comunità ebraica di Buenos Aires. Nel 1997 nel Palazzo di Vetro dell’Onu spiegherà ai grandi della terra l’unità dei popoli, e per decenni, fino alla sua morte avvenuta il 14 marzo del 2008, affascinerà con la forza del suo agire Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI…

«Ma eravamo nel 1942 – continua padre Casimiro – e mai avrei pensato… Tornai più volte nell’orfanotrofio a predicare e, vedendo il suo entusiasmo, le affidai altri giovani. Successe l’impensabile». Rapita dall’esempio del santo che lasciò tutto per seguire Cristo ("In foco amor mi mise"), Silvia volle offrirsi al Signore e prese il nome da Santa Chiara d’Assisi. «Non voleva farsi suora, desiderava offrirsi a Dio restando laica. Io le chiesi di pensarci bene, le dissi che poi, se avesse cambiato idea, solo il Santo Padre avrebbe potuto scioglierla dal voto, ma lei era raggiante. Mi raccontò che suo fratello, medico e comunista, le aveva trovato un bravo collega d’ospedale come marito, ma che lei ormai apparteneva a Dio e come Francesco voleva amarlo attraverso i fratelli».

Di nuovo sarebbe toccato a padre Casimiro accendere la miccia. Avvenne il 7 dicembre del 1943 quando, a tu per tu con una Chiara 23enne nella chiesetta dei Cappuccini di Trento, ebbe il privilegio di assistere al suo sì incondizionato: «Eravamo soli. Dissi Messa e lì Chiara si offrì a Dio, promise povertà, obbedienza e castità e partì per la sua grande avventura. Nasceva il Movimento dei Focolari…».
Un numero sempre maggiore di ragazze e ragazzi di Trento si lasciarono contagiare e la seguirono, soccorrendo con lei l’umanità dolente sotto le bombe. «Chiara infiammava chiunque la incontrasse. Ricordo benissimo l’impressione che riscossero un giorno a Trento tutte quelle ragazze che passavano, quasi duecento, belle, ordinate, ben vestite, alla testa del Corpus Domini… Un primo nucleo di giovani andò a vivere con lei nella prima casetta del Movimento, sotto il nostro convento». Ed è lì che per la terza volta il cappuccino si fa inconsapevole veicolo di Dio: «Una di loro, Doriana, andando ad assistere i senzatetto si era ammalata e quel giorno Chiara mi chiese di portarle l’Eucarestia a casa. Era il 1944». Una scena mai dimenticata: nel letto Doriana, lì accanto, seduta, Chiara. Al giovane frate salì spontanea una domanda, ancora oggi non sa spiegarsi come: qual è l’istante in cui Gesù ha sofferto di più? «Mi vengono ancora i brividi – ricorda padre Casimiro -. Non avevo idea di cosa stesse avvenendo, solo a pensarci mi viene da inginocchiarmi». Chiara provò a rispondergli: «Nell’orto dei Getsemani?». Il frate la corresse: «No, fu quando gridò al suo stesso Padre "perché anche tu mi hai abbandonato?", quello è stato il momento più atroce».

Fu un fulmine a ciel sereno. Chiara, folgorata dall’intuizione, stabilì l’ideale del suo Movimento: «Da quell’istante e per sempre prese con sé Gesù abbandonato, riconoscendolo in ogni fratello della famiglia umana». Nell’Uomo-Dio che dalla croce grida l’abbandono del Padre, Chiara trovava la chiave per ricomporre l’unità con il Creatore e tra tutti gli uomini: nasceva quel giorno il "progetto di unità" che sarà lo scopo della sua vita, orientata ad attuare l’ultima volontà di Cristo, che tutti siano uno.

Fino al giorno della morte la sua passione sarà la stessa, riportare al Padre il mondo sanato da ogni divisione e ricomposto nella fratellanza universale: Nel tuo giorno, mio Dio, verrò verso di Te con il mio sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia, scriverà… Ai suoi funerali in San Paolo fuori le Mura due anni fa portarono la loro testimonianza rappresentanti delle religioni orientali, dell’islam, dell’ebraismo, di confessioni cristiane, di movimenti ecclesiali, oltre a politici di ogni schieramento, tutti ugualmente trascinati dal carisma di Chiara Lubich… «Aveva una intelligenza fuori dal comune e si era iscritta a filosofia – prosegue il frate -, ma le consigliai di lasciar perdere: erano tempi duri, le dissi, stai invece accanto a questi poveretti che nei bombardamenti hanno perso tutto… Le trasmettevo le parole di Cristo, "quando due o più sono uniti nel mio nome, sono io in mezzo a loro", e lei le ha diffuse in modo nuovo, rivoluzionario».

L’estate scorsa a trovare padre Casimiro è arrivata una cinquantina di giovani studenti di teologia dalla Terra del Fuoco alla Corea, piccola rappresentanza di quel popolo di Chiara che ormai abita tutta la Terra. «Sono venuti nel giorno in cui compivo i 70 anni di ordinazione sacerdotale, volevano conoscere gli esordi di Chiara, sentire dalla mia voce ciò che avevo visto, anche ringraziarmi, ma io ero stato solo la scintilla inconsapevole: nulla avviene per caso e il Signore si era servito di me tre volte per indicarle la via».

Per questo, forse, nel maggio del 1915 al piccolo Casimiro, figlio di un ferroviere abruzzese, era toccato nascere non all’ombra del Gran Sasso ma delle Dolomiti bellunesi. E il suo destino era già scritto quando, giunti a Rovereto, la mamma («ogni volta che papà veniva trasferito, lei cercava subito la chiesa più vicina a casa») buttò gli occhi sulla cappella dei Cappuccini «e tutte le mattine mi portava a Messa qui, dove un giorno avrei trovato la vocazione». Poi a Trento l’incontro con Chiara, 22 anni lei e 27 lui: due giovani vite che si sarebbero sfiorate qualche mese. Giusto il tempo per cambiare il mondo.

 

 

Da Avvenire del 23 gennaio 2010 – leggi l’articolo originale sul sito

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