Internet, specchio delle mie brame

50 anni fa, il 29 ottobre del 1969 collegati tra di loro i primi computer. Nel silenzio.

 

1969 che anno! Ha cambiato il mondo? Sembra proprio di sì, comunque ha lasciato il segno.  Il 20 luglio Niel Armostrong lascia la sua orma sulla Luna. Dal 15 al 17 agosto c’è l’apoteosi musicale di Woodstock, trionfo degli hippy che sulle strade d’Europa e dell’Asia s’erano messi in cerca di qualcosa di immateriale che desse un significato alla loro vita. Due eventi rumorosi. Il 29 ottobre, invece c’è un evento silenzioso. Anche questo “Born in the Usa”, di marca americana. Non è coperto dai media. Solo un trafiletto neppure troppo in vista sul giornalino universitario Bruin, datato 15 luglio: «I primi computer del Paese saranno collegati da qui». Alle ore 22.30 del 29 ottobre, fuso orario Europa centrale, la cosa accadde veramente. Un calcolatore della University of California e uno dello Stanford Research Institute sono collegati fra loro e si scambiano un pacchetto di dati. No news. Era la più sensazionale rivoluzione della storia recente, più dello sbarco sulla Luna, più della rivoluzione hippy. Era l’inizio di internet. La sua genesi era iniziata un po’ di tempo prima da un’iniziativa del Dipartimento della Difesa americana. Voleva creare una rete per mettere a fattor comune le risorse di calcolo e di informazioni sparse nel territorio, si era in tempo di Guerra Fredda. Un esempio virtuoso di collaborazione militare, industriale, accademica. Si attribuisce il merito di quell’impresa a Leonard Kleinrock autore della teoria matematica della commutazione a pacchetti. Lui era lì quel 29 ottobre a sorvegliare la dimostrazione. Che riuscì. «Non avevamo nessuno a riprendere o a registrare quel momento – dice -.  Certo, sapevamo che poteva essere una tecnologia interessante e innovativa, ma non abbiamo mai pensato che potesse cambiare il mondo». Oggi più di metà della popolazione mondiale è connessa in rete, nel 2020 saranno 5 miliardi di persone. Nessun sistema politico o religioso è mai riuscito a legare così tante persone. È una ragnatela invisibile che si estende nell’aria e permea con gli algoritmi le nostre vite. Offrendo prospettive grandiose. Con l’internet di tutte le cose saranno collegate non solo persone ma anche oggetti, dagli elettrodomestici alle navicelle spaziali. Computer si interfacceranno con il cervello umano, cambiando radicalmente l’uomo. Internet ha avuto poi la sua esplosione con l’invenzione del World Wide Web, www, fatta al CERN di Ginevra. Poi si sono inseriti i social, Facebook, Google. Un passo verso il mondo unito? In un certo senso sì. La tecnologia si è accorta che può dare una mano a riempire il vuoto lasciato dalle ideologie e dalla religione e di rispondere alle domande di senso e di voglia di comunità della gente, se non altro in modalità virtuale. Zuckenberg ha promesso che Facebook si farà carico di queste necessità e che «i suoi ingegneri si caricheranno sulle sue spalle il fardello abbandonato dai parroci».  Eppure proprio sul web si trova tanto incitamento all’odio. Perché? Perché internet è uno specchio. Non come quello della regina di Biancaneve, che alla domanda – specchio, specchio specchio delle mie brame qual è la più bella del reame? – rispondeva con una certa autonomia. Internet, per quanto sofisticato sia, è un comune specchio, che riflette quello che gli sta di fronte. Trasmette i pensieri, così come gli sono affidati. Gli stessi pensieri che c’erano già prima di internet, ma se stavano nascosti nelle menti o nelle chiacchiere tra pochi amici, ora rimbalzano come valanghe nel web. Se si mette il male trasmette il male, se si mette il bene lo trasmette. Le possibilità che offre sono ovvie.

 

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