Tra incertezza, astensionismo e seggi blindati, una sfida già chiusa?

L'Italia è un Paese che può ancora stupirci. Il momento elettorale continua ad essere un crocevia fondamentale. Per tornare a sentirci soggetti della costruzione democratica occorre scegliere di informarci, di darci più tempo per sottoporre a verifica le conoscenze su cui fondiamo le nostre opinioni senza rinchiuderci in recinti prestabili. E poi maturare uno sguardo capace non solo di concentrarsi sulle promesse future ma di valutare quanto accaduto finora per maturare una scelta matura e consapevole
Astensione e partecipazione. Assemblea giovanile foto La Presse

Giornate confuse. Nel cuore dell’estate, ci stiamo attrezzando per affrontare la tornata elettorale del 25 settembre. Elezioni anticipate del Parlamento rispetto alla scadenza ordinaria della primavera 2023 e prime elezioni dopo la riduzione del numero dei parlamentari eletti (1), che passeranno da 945 a 600: 400 deputati e 200 senatori.

“Si ha l’impressione che in tanti stiano attendendo…” Lo aveva scritto Ilvo Diamanti alcuni anni fa sulla base di una solida ricerca (2): circa  il 30% sceglie per chi votare solo nel corso dell’ultima settimana, mentre il 10% lo fa ddirittura il giorno stesso in cui si reca a votare. Sarà così anche questa volta?

E poi c’è l’astensionismo che non rallenta. Negli 818 comuni in cui si è votato alle amministrative del giugno scorso, la partecipazione elettorale al primo turno è stata del 54,7% (3). Va tenuto presente che gli italiani tra i 18 e i 34 anni, con la scheda elettorale, il 25 settembre saranno circa 10 milioni ed è proprio tra questi che si moltiplica il partito del non voto: a chi dare fiducia? E perché dare fiducia?

Nello stesso tempo l’Istituto Cattaneo (4) ci mette davanti due mappe dell’Italia colorate di azzurro e di rosa; e non si tratta di nascite. Sono scenari che propongono cosa può accadere il prossimo 25 settembre, costruiti a partire dai sondaggi che hanno indagato le intenzioni di voto dei cittadini italiani in luglio e dai risultati delle elezioni europee del 2019. Le due mappe suddividono i seggi uninominali per la Camera e il Senato in “blindati”, “sicuri”, buoni” e “contendibili” per le coalizioni in campo. C’è dunque chi una scelta l’ha già fatta ed è sulla base di queste stime che le segreterie di partiti e movimenti politici stanno decidendo chi candidare e dove.

Anche se sono lontani gli anni in cui la maggior parte degli italiani votava per appartenenza (e si parlava di regioni “bianche” e “rosse”), e anche se l’incertezza e l’astensione rappresentano dati importanti, ciononostante è tuttora possibile prospettare una ripartizione territoriale dei seggi ben marcata, quasi l’immagine di una sfida elettorale già chiusa. Ma non è l’unico modo di vedere le cose.

Il momento elettorale continua ad essere un crocevia fondamentale, nonostante la campagna elettorale ci sia piombata addosso, direi, con violenza.

Riflettere su tutto ciò può indicarci alcune priorità: scegliere di informarci, di darci più tempo per sottoporre a verifica le conoscenze su cui fondiamo le nostre opinioni, per dialogare anche con chi è lontano dal nostro orizzonte politico, chiedendo a noi stessi per primi di andare oltre la superficie dei fatti. In altre parole per tornare a sentirci soggetti della costruzione democratica. Sono convinta che nessuno di noi ama pensarsi dentro un recinto e dare per scontato l’esito del suo voto.

Se questo, anche attraverso gli obiettivi delle politiche pubbliche, si sta rivelando sempre più come un tempo di interdipendenza e di cooperazione, allora, prima di sigillare una posizione che sia a sostegno di una parte o di nessuna parte, è possibile percorrere a passi lenti un’altra strada: accettare di confrontare un’idea, la propria idea, con la realtà, con le domande di oggi, mettendosi in discussione.

Per farlo dovremo uscire dalle echo chambers, le stanze dell’eco, dove capita di trastullarsi circondati da chi la pensa come noi, e moltiplicare le domande, tracciare la propria agenda e cercare chi risponde e come. Personalmente, ad esempio, mi sto chiedendo se l’orizzonte internazionale non debba pesare di più sulle mie scelte.

Nell’informazione giornalistica attuale non ci manca la possibilità di scavare a fondo, ma è necessario fare alcune scelte, decidere quali porte aprire e quali chiudere in questa fase complessa, sapendo bene la forza dei meccanismi e dei flussi della comunicazione mediatica, delle strategie pubblicitarie e delle leve emotive che rischiano altrimenti di guidare la nostra scelta. Il mio voto vale, il nostro voto vale.

C’è un’altra domanda che mi sta a cuore: votare guardando avanti è sufficiente? I partiti sembrano puntare soprattutto al prossimo quinquennio.

È il fascino del prospective vote, legittimo certamente dal momento che la preferenza che andrò ad esprimere è guidata da una certa visione sul Paese che vorrei si affermasse. Ma nel mio voto c’è anche un’altra misura importante, quella che non dimentica e valuta cosa è accaduto ieri, considera la situazione presente senza dimenticare chi ci ha condotto qui.

È il peso del retrospective vote e anche questo ci deve guidare, per esplorare – tanto meglio se insieme – le possibilità di un Paese che può ancora stupirci.

 

(1) Legge costituzionale 19 ottobre 2020 n. 1

(2) Ilvo Diamanti, Un salto nel voto, Edizione Laterza, 2013

(3) Centro Italiano Studi Elettorali, Luiss – Improta, Angelucci, 13 giugno 2022

(4) Istituto Cattaneo, Elezioni 2022 – Analisi 9 agosto 2022

Contributo al dibattito verso le elezioni politiche del 25 settembre promosso da Città Nuova con questo articolo di invito pubblicato il giorno 8 agosto 2022.Vedi i diversi contributi del Focus 

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