In questo mondo libero

¦ Anche in questa ultima opera Ken Loach conferma il suo orientamento a denunciare quanto, nel nostro mondo occidentale, non va bene. Lo fa con determinazione, usando un linguaggio quasi da documentario. E, anche questa volta, prende di mira la realtà dell’immigrazione. Il film ha ottenuto un riconoscimento a Venezia per la sceneggiatura, abile nel centrare l’obiettivo. Come egli stesso ha affermato, la cosa che più gli interessa è quella di sfidare la convinzione secondo la quale la spregiudicatezza imprenditoriale è l’unico modo in cui la società può progredire. Egli pensa anche che questo principio possa produrre solo mostri e tale sembra diventare, progressivamente, la protagonista: una trentenne di talento, dalla volontà ferrea, che non è riuscita, finora, a trovare un’occupazione stabile. Decide di mettersi in proprio, aprendo un’azienda che trova lavoro agli immigrati. La donna, benché generalmente orientata al rispetto degli altri, scende ad odiosi compromessi per riuscire nell’impresa. Non è una figura totalmente negativa e l’originalità del film consiste nell’avvicinare lo spettatore, coinvolgendolo emotivamente, alle contraddizioni della donna che, nonostante momenti di generosità, si riduce a sfruttare i lavoratori e a vivere nella disobbedienza alle leggi. In questo mondo libero ci presenta uno spaccato amaro della società di oggi, con certi suoi atteggiamenti cinici, con la questione del lavoro dei giovani, con le difficoltà che essi incontrano nell’educare i propri figli senza avere un posto sicuro, con la condizione particolarmente drammatica degli immigrati, quando possono accedere solo a lavori giornalieri. Il film presenta un finale che, a dire il vero, non sarebbe opportuno. L’autore – infatti – intende proporre problemi aperti. La scelta di rappresentarli e la drasticità con cui lo fa indicano in maniera chiara la sua convinzione che qualcosa si può e si deve fare. Regia di Ken Loach; con Juliet Ellis, Leslaw Zure

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