Il trauma dell’arte

Entrare nelle stanze del dolore e scoprire la bellezza che vi abita dentro. Sembra questa l’esperienza proposta da RelAzionArti, un progetto e un gruppo di artisti accomunati dall’idea che l’opera d’arte, proprio perché ricrea ciò che di più profondo c’è nell’uomo, sia un potente mezzo di relazione e di dialogo. Il loro ultimo evento si è incentrato proprio sul rapporto fra arte e dolore. Una mostra: Hospitalarte, ferite di luce. Gli spazi non sono quelli delle gallerie d’arte ma stanze e corsie dell’ospedale San Giovanni di Torino. Nelle opere troviamo proprio un campionario ospedaliero: defibrillatori, flebo, lastre radiografiche, medici in persona… tutto diventa materia prima per reinterpretare le forme del dolore. Eppure, nonostante la forza sconvolgente di tante opere, chi guarda non ne resta ferito, anzi, le esperienze traumatiche presentate in forme e colori sembrano piuttosto ricucire gli strappi e ricondurre ad unità ogni frattura. Il segreto? Ce lo raccontano i protagonisti: Nella consapevolezza di affrontare un tema impegnativo in un contesto delicato l’idea del progetto si è sviluppata su un fitto confronto fra i partecipanti. Gli stessi artisti hanno messo in gioco il proprio sentire riguardo il dolore e l’ambiente ospedaliero, in primo luogo con uno scambio di idee, pensieri ed esperienze. La pluralità delle voci ha portato a soluzioni personali e diversissime: arte terapeutica, lenitiva, traumatica, curativa, ricreativa… Ma nella varietà delle proposte è emersa un’unità di intenti: ricostruire quell’unità tipica di ogni esperienza umana; quell’unità che sembra spezzarsi ad ogni incontro con la sofferenza e che invece brilla ancor di più nell’arte proprio perché non nasconde il dolore ma lo mostra in tutta la sua pienezza. L’effetto spaesante del primo impatto con le opere che qualcuno definisce fortine, cede piano il posto ad un vivo interesse e infine alla confidenza; le opere sembrano intrattenere con i fruitori un dialogo silenzioso che racconta il dolore visto nella prospettiva nuova e sintetica degli artisti. C’è chi si sorprende, chi si commuove, e chi resta attonito nell’assistere ad un ribaltamento interiore. Quei lavori, che alla propria origine hanno un’esperienza traumatica, sembrano entrare nello spettatore per dargli occhi nuovi capaci di vedere il dolore non come un qualcosa di brutto, da evitare, da nascondere, ma piuttosto come un vuoto che si riempie di significato, una ferita che brilla come una stigmate e rende glorioso e pieno di luce il corpo in cui è scavata. Un convegno: Il trauma dell’arte. Uno sguardo sulle opere d’arte e sugli artisti che da Michelangelo ai giorni nostri hanno partorito i loro capolavori trovando nel tor- mento la leva d’ispirazione e nella sofferenza una fonte di luce creativa. Una carrellata di immagini e di esperienze che lasciano senza fiato per i vertici strazianti toccati da certe esistenze e per i capolavori che ne sono derivati. Gli interventi, prima dalla prospettiva estetica, poi da quella filosofica, riconducono l’assurdità del dolore al senso pieno che questo assume nella visione degli artisti. Infine, dalle parole di Simonetta Bulgaro, l’esperienza del marito Mario Pardi, artista poliedrico che ha affrontato ad occhi aperti un viaggio tremendo e meraviglioso attraverso una malattia infausta. Il suo sguardo estetico e penetrante riannoda i fili della vita che paiono spezzarsi all’incontro con la malattia; si riannoda una nuova trama che ridisegna il significato degli eventi e la sofferenza sembra sbocciare in un fiore che ha il colore della gioia, lo stesso colore vivo degli occhi di Mario che dal video amatoriale parlano come e più delle parole; dicono e convincono che quella gioia non è una speculazione o una pur bella fantasia ma la realtà più vera, l’anima stessa della sofferenza. Al termine dell’evento pochi riescono a proferir parola. Soprattutto si sente grazie per ciò che si è visto, sentito, e vissuto. Le nuove prospettive sul dolore, viste dagli occhi degli artisti, sembrano rivivere negli sguardi di tutti. Una gioia silenziosa ma vivissima attesta la comunione sperimentata tra arte e dolore. Proprio grazie agli artisti, e ai loro dolori vissuti come un’esperienza estetica, anche a noi è dato di affondare le radici in profondità, dove non esiste che buio, per ritrovarle in alto, piantate in un sole che le nutre di luce. L’estetica non fugge il dolore Stralci uditi e trascritti nel convegno legato alla mostra di Torino Il dolore, tutt’altro che innocuo sulla pelle dell’artista, ferisce in profondità, ma, sulla breccia di tale ferita, l’anima gli si dischiude e una nuova dimensione percettiva lo porta a leggere la filigrana nascosta nei segni dell’esperienza traumatica… il non senso e l’assurdo acquistano significato e ciò che agli occhi dei più è percepito unicamente come dolore, appare all’artista come trasfigurato . Colui che spinge alla maturazione la propria sensibilità estetica non fugge il dolore perché sa che ogni ispirazione, ogni illuminazione artistica scaturisce da quel piccolo-grande trauma. Come ad un appuntamento cui non vuole mancare, l’artista accoglie il dolore perché sa che nasconde qualcosa di prezioso; lo ascolta perché sa che ha sempre cose nuove da dirgli; lo cerca nelle circostanze della vita con uno sguardo che supera la soglia dell’apparenza per guardare veramente dentro i fatti e le cose. Con questo sguardo brucia il negativo dell’esperienza traumatica con un fuoco che lascia in piedi solo il nocciolo irriducibile, l’anima di quell’esperienza. In certo modo l’opera si comporta come le due diverse facce di una stessa medaglia: a tutti i fruitori è concesso di vedere quella più luminosa e brillante, di godere, condividere e partecipare alla visione sintetica e illuminata dell’artista. Una faccia resta invece nascosta: quella che racchiude il diario intimo di tale visione, l’altalena traumatica sottesa ad ogni esperienza estetica. Eppure le due facce, pur diverse, sono strettamente legate fra loro, e nella percezione di quella visibile è presente in certo modo anche la sua contropartita. Infatti il lato nascosto imprime i propri solchi più profondi sulla moneta in modo così forte da renderli visibili anche sulla faccia opposta, non più in cavo, bensì in rilievo, rovesciando così il vuoto in pienezza.

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