Il “silenzio” di Teresa

ABratislava, una mattina dell’ormai lontano ’69. Una volkswagen ha la malaugurata idea di bloccarsi in una delle piazze principali della città, proprio davanti ad un incrocio. Alla guida una giovane donna, che chissà cosa darebbe per passare inosservata. Invece Teresa Cifaldi – di lei si tratta – si rivolge direttamente al vigile, esponendogli la situazione: il serbatoio è a secco e lei, poco pratica della città, non è riuscita a rifornirsi in tempo. Lui mi rassicura – dice -, e con mia grande meraviglia vedo poco dopo accostarsi alla mia utilitaria una 603 nera (la ben nota macchina di stato) con a bordo due funzionari, anche loro rigorosamente vestiti di nero. L’autista versa nel serbatoio un bidone di benzina rifiutando ogni compenso. Per fortuna, un semplice poliziotto di quartiere difficilmente avrebbe potuto immaginare cosa fosse venuta a fare in Cssr quella insospettabile studentessa dall’apparenza fragile, venuta dall’Italia. In effetti, Teresa era realmente iscritta all’università di Bratislava, e ciò le aveva dato la possibilità di ottenere un regolare permesso di soggiorno, fatto assai raro per quei tempi, se non impossibile. Non era lo studio però il motivo reale che l’aveva portata in Cecoslo- vacchia. Salernitana di origine, da qualche anno viveva nel focolare di Bruxelles, dove aveva un impiego ben remunerato presso la Comunità europea. In quegli anni in cui l’Europa era rigorosamente divisa in due blocchi da una impenetrabile cortina di ferro, era avvenuta una diffusione dei Focolari anche nell’oltre, come si diceva allora. Persino in Cecoslovacchia, dove il regime era molto duro ed oppressivo. Gli avvenimenti del ’68 – la primavera di Praga – portarono una ventata di speranza: forse era giunto il momento, come era avvenuto nell’ex Ddr, di tentare una presenza stabile dei Focolari anche in quelle terre. Proprio Teresa parve la persona adatta, dato che aveva i titoli per chiedere l’iscrizione in lingua e letteratura slovacca presso l’università di Bratislava. Ero ancora nel bel mezzo dei preparativi – racconta -, quando giunse la notizia che dovevo partire subito, perché la frontiera stava per essere di nuovo chiusa. Pensai in quel momento che, se fossi riuscita ad entrare in Cecoslovacchia, forse non avrei mai più potuto uscirne. Compresi che quello poteva essere il prezzo, ma ne valeva la pena. Così Teresa giunge precipitosamente in Cssr a bordo della sua vecchia volkswagen. Quei 50 chilometri che separano Vienna da Bratislava le sembrano infiniti: entra per amore in un mondo che le appare tutto grigio e spento. Quando attraversavo la città, mi faceva un grande pena la tristezza che scorgevo nei volti della gente. Sui mezzi pubblici nessuno parlava, forse per timore che qualche orecchio indiscreto potesse ascoltare. I negozi, poi, erano sempre vuoti. Ciò che più le mancava, era la possibilità di comunicare col mondo libero e con gli altri focolarini. E quando – prosegue – per prudenza dovemmo distruggere anche quel poco di materiale scritto che avevamo nel focolare, la prendemmo come una sfida. Insomma, non ci rimaneva che da vivere. Teresa, ora che tutto è passato, ricorda anche le innumerevoli volte che ha avuto a che fare con la polizia: Indagarono su di me pure interrogando i colleghi e gli studenti all’università ai quali insegnavo italiano. Erano momenti particolari, durante i quali sperimentavo cosa significa la promessa di Gesù ai discepoli: Non preoccupatevi di ciò che direte davanti ai tribunali…. E ci appropriammo del motto dei primi cristiani: Non ho paura di te, perché ti amo. C’era poi chi mi diceva: Ma perché è venuta qui, quando poteva vivere tranquillamente in un paese libero?. Era difficile dare una riposta. Potevo solo testimoniare con la vita un amore più grande. Prima di partire, aveva ricevuto pochi consigli, che si rivelarono preziosissimi: parlare poco, ascoltare molto, amare tutti, senza eccezioni. Prosegue Teresa: Una volta arrivata, lasciai passare un anno intero prima di mettermi in contatto con quanti conoscevano il focolare. Gli unici interlocutori erano allora Monika e Pavol Ferkovi, una meravigliosa famiglia con quattro bambini piccoli, che mi circondarono di tanto affetto e di tante delicate attenzioni. A Praga, il primo punto d’appoggio fu la parrocchia di Karlin, dove era parroco padre Karel Pilìk, altro pioniere dei Focolari in terra ceca e slovacca. Non potendosi riunire in città per ovvi motivi di sicurezza, approfittavano di gite ed escursione per incontrarsi. Una pietra miliare furono i viaggi di Peter Wiederholt, sacerdote della Germania orientale che, ancora seminarista, aveva conosciuto la spiritualità dell’unità. Peter, una volta ordinato sacerdote, aveva chiesto al suo vescovo il consenso di poter continuare i viaggi in Cssr. Il vescovo acconsentì, e così Peter si recò spesso sui monti Tatra, in Slovacchia, per fare alpinismo con alcuni amici slovacchi. Tutti lo ricordano come arrampicatore provetto, con un amore straordinario per tutti. Durante una scalata, essendosi accorto che un compagno, al secondo posto in cordata, non aveva le scarpe adatte, prese il suo posto. E quando un’improvvisa valanga travolse i primi due scalatori, Peter suggellò con la sua morte quel patto di dare la vita per l’altro fatto la sera precedente nel rifugio. Durante uno di questi incontri – ricorda Teresa -, mentre si celebrava la messa in una baita di montagna, sentirono bussare alla porta: era la polizia. Sicuri di essere nelle mani del Padre e poiché la messa era alla consacrazione, non interrompemmo, ma continuammo in silenzio. Quando al piano terra il custode aprì, ebbe il coraggio di dire che tutti i turisti erano andati in gita. Simili fatti si ripetevano continuamente. Nessuno temeva di rischiare, perché questa vita dava la certezza interiore ed il senso della vera libertà, che non viene meno neanche quanto si sa di essere perseguitate. Una cosa era certa: ogni loro movimento era controllato. Ma – ribadisce Teresa – la garanzia fu la presenza di Gesù che cercavamo sempre di avere col nostro amore reciproco. Non si spiegherebbe altrimenti come mai ne uscimmo fuori senza danni. Ci sentivamo protetti e guidati perfino negli accordi telefonici che dovevamo prendere, fatti di allegorie, qualche volta complicate, ma spesso anche umoristiche. Così nei periodi più duri poterono tenersi parecchi incontri e, devo dire, anche numerosi. Ciò che era successo in quei vent’anni di silenzio lo si sarebbe visto quel 17 novembre del 1969, allorché gli studenti a Praga diedero inizio alla rivoluzione di velluto. Quest’evento non avrebbe colto di sorpresa gli amici cechi e slovacchi dei Focolari, pronti a scendere in campo per il bene della collettività. Anche quando si sarebbe trattato di scegliere la via della formazione di due nazioni indipendenti ma amiche. Un grande evento, per i Focolari in quelle terre, fu l’incontro con la fondatrice avvenuto il 12 maggio 2001 presso il più grande stadio dell’hockey di Bratislava, che raccoglieva oltre 7 mila persone finalmente libere di riunirsi. Nell’esultanza di tutti, Teresa Cifaldi vedeva la realizzazione di un sogno che solo tre anni prima pareva impossibile. Nel settembre scorso, le giungeva la notizia del conferimento della onorificenza pontificia di Dama dell’ordine di San Gregorio Magno, per i 35 anni trascorsi in quelle terre. L’ho accettata – dice – in nome e per conto di coloro che in tutto questo tempo hanno testimoniato con la loro vita che l’unità chiesta da Gesù al Padre è possibile. Se chiudo gli occhi, senza esagerazione mi vedo passare davanti centinaia di persone meravigliose, di tutte le età e vocazioni. Ed ora che la cortina non c’è più, Teresa vive ancora in quelle terre. Risiede nella cittadella dei Focolari sorta a metà strada tra Praga e la cittadina di Starà Boleslav, il luogo del martirio di san Venceslao. Il nome della cittadella è Pakt, il patto, sinonimo di alleanza, con Dio, ma anche tra gli uomini. Un atto che ha contrassegnato tanti momenti della storia dei singoli e dell’intera comunità. Per Teresa, esso è la nota dominante di tutta la sua vicenda, così straordinaria nella sua normalità.

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