Il sermone di Richie Lee Jones

¦ Parlare di cose religiose nelle canzoni è impresa impervia e oltremodo pericolosa. Il rischio di banalizzare è alto almeno quanto quello d’apparire ridicoli o bigotti; meramente didascalici o perfino blasfemi. A meno di non essere dei geni. Epperò pochi sono quelli che non hanno subito la tentazione d’avventurarsi su questi sentieri: chi mosso da sinceri intenti divulgativi, chi perché in preda a febbri iconoclaste, chi semplicemente per dar voce e sfogo alle emozioni del proprio intimo. Inutile aggiungere che quando i tempi, le situazioni o i contesti sono particolarmente angoscianti o degradati, tale tentazione esprime spesso anche un bisogno profondo di moralità, a prescindere dagli esiti e dal valore artistico dell’opera. Non sorprende perciò che anche personaggi solitamente estranei, se non antitetici a tali approcci, ad un certo punto della loro percorso abbiano virato verso tali tematiche. Accadde a un’icona del rock’n’roll come Presley e a un poeta anticonformista come Dylan, a stelline del pop più inconsistente, come ai paladini del laicismo più radicale. Recentemente è accaduto alla cinquantaduenne Rickie Lee Jones, caposcuola indiscussa (ma spesso assai defilata) di diverse generazioni di cantautrici statunitensi. Il suo nuovo album, Sermon On Exposition Boulevard (New West) non rinnega la ruvidità, i selvaggi guizzi creativi, l’orgogliosa unicità di uno stile contaminato dal rock a dal jazz, dal folk e dal blues. Ma ad esso aggiunge una tensione spirituale assolutamente inedita. È chiaro che da una così non ci si poteva attendere un album convenzionale, e tanto meno un’esercitazione di mistica applicata; ma non c’è dubbio che la poetica che attraversa queste tredici nuove canzoni appare guidata e sostenuta da intenti decisamente inattesi, e per certi versi anche provocatori: Oggi la gente non può più sentir nominare Gesù senza innervosirsi – ha dichiarato di recente – Lo associa subito ai predicatori televisivi. Io volevo solo tornare al significato originale delle sue parole. Ho sempre disprezzato la destra fondamentalista, quella che qui in America gira per le chiese dicendo: vota per Bush o andrai all’inferno. A suo tempo Gesù era un rabbi, un insegnante saggio, ma le sue parole giunte effettivamente fino a noi sono pochissime; così la sua storia viene continuamente rivissuta da ogni generazione, ma nessuno è mai in grado di riconoscere il vero Cristo che cammina fra noi. Da qui il tentativo che sta alla base di questo album, di attualizzarne la figura e il messaggio, filtrandoli attraverso la propria espressività: in modo talvolta confuso, qua e là contorto, altrove semplicistico, d’accordo; ma quasi sempre con esiti affascinanti, specie per la sincerità d’intenti che traspare da molti passaggi. Questo Sermone del resto, non ha altri intenti che veicolare le suggestioni dell’intimo della sua autrice, oltre a rifletterne una nuova stagione, emotiva prima ancora che creativa. Il che vuol dire che a poco servirebbe una sua eventuale esegesi; molto meglio lasciar parlare le note e le emozioni (quasi sempre di prima qualità, nonostante l’oggettiva scorbuticità di qualche passaggio). Ed è qui che Rickie conquista e continua a spiazzare: con la sua voce a spillo, con la sua scrittura dilatata che riporta all’antistrutturalismo di quel capolavoro che fu Astral Weeks di Van Morrison, con certi arrangiamenti scarnificati che richiamano l’estetica urticante di un Tom Waits. Per quanto opinabili, le verità della Jones hanno diritto d’asilo nel cuore di chiunque cerchi nuovi stimoli: per indagare, confrontare, evolvere, sostenere, o perfino negare le sue. Perché sì, anche a questo può servire una canzone. CD Novità THE GOOD THE BAD & THE QUEEN: the good the bad & the queen. Un tempo si chiamavano supergruppi. Damon Albarn, già leader dei Blur, Paul Simonon, già membro dei Clash, e Simon Tong ex Verve, hanno unito i loro destini artistici al percussionista nigeriano Tony Allen, partorendo un disco di tendenza che ben fotografa il postrock odierno. Malinconie molto british, echi fifties e sixties, cadenze dub. E sotto, la speranza di dribblare le trappole di un mondo instupidito dal troppo benessere.

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