Il Paese ha bisogno di certezze e cooperazione

Risposta a A.M. Baggio sull'Editoriale "Sopravviverà l’Italia fino al 2024?"

Sono tanti gli spunti di riflessione offerti dalle tue pagine.

            Devo dire prima di tutto che concordo sul fatto che il problema televisivo preesisteva a Berlusconi. La RAI era “un monopolio illiberale” che ha avuto poi il torto di voler scimmiottare la TV commerciale inseguendola nel suo ridicolo “disegno culturale” che, per me, costituisce, a tutt’oggi, il più serio torto del premier. Le sue televisioni hanno, infatti, compromesso il sottofondo morale e civile del popolo italiano senza che nessuno, ancora, rimproveri al leader questo che è stato sicuramente il suo più grande torto.

            Ti confesso che, se Fini avesse avuto questo intento, avrei stimato di più il suo tentativo che, come tu dici, “esprimeva l’esigenza di costruire un centro-destra libero dalle ipoteche berlusconiane”. Purtroppo, Fini ha anche “sventagliato” alcune ipotesi, guarda i temi di bioetica, che, non solo non mi sembrano di centro-destra, ma che sono sicuramente legati ad ambienti ancora “poco chiari”, e sto usando un eufemismo. Questo, prima o poi, renderà complessi i rapporti all’interno del terzo polo.

            Visto che mi sono imbattuto in “proiezioni futuristiche”, ti voglio formulare un ipotesi: e se l’attuale affaire Berlusconi si rivelasse un boomerang per chi lo ha cavalcato sperando di rovesciarlo?

            Mi spiego meglio: ammettiamo che la procura di Milano, pur nelle contraddizioni che tu evidenzi, riesca a vincere ed a costringere Berlusconi a dimettersi (ipotesi che io intravedo solo a seguito di un arresto) cosa cambierebbe in caso di elezioni anticipate? Con una simile legge elettorale, che tu giustamente definisci “contraria alla retta ragione e ai diritti di cittadinanza”, credo che non accadrebbe assolutamente niente.

            La scelta del PD di allearsi con Vendola preclude altre possibili alleanze con un centro che dice esplicitamente di voler correre da solo. I dati dei sondaggi verso i futuristi (davvero emblematico questo aggettivo) mi sembrano gonfiati ad arte perché, in un sistema bipolare, quando si avvicinano le elezioni le parti contrapposte tendono a recuperare e, in questo caso, i voti dei finiani, che peraltro non hanno dalla loro neppure lo zoccolo duro ed organizzativo della vecchia Alleanza Nazionale, confluirebbero verso il PDL.

            Già il PDL che, compatto nella sua alleanza con la Lega e capace di fare quadrato attorno ad un nuovo-vecchio leader come Tremonti (di cui mesi fa non a caso già si parlava come premier gradito alla lega), finirebbe per riavere una maggioranza per guidare ancora il paese in barba ai giudici, Bersani, Di Pietro e compagnia, che dovrebbero ingoiare, chissà per quanto tempo, un governo simile. Il contrario di quello che serve al Paese, che necessita di un governo di larghe intese, se davvero vuole trovare risorse ed uscire dalla crisi.

            Trovare risorse con soluzioni alla Capaldo non è possibile se in questa congiuntura politica ed economica si esclude la destra. Non si tratta di essere conservatori, ma osservatori di buon senso: qualunque discorso di tasse o patrimoniale sposterebbe il paese a destra in modo irreversibile. Impossibile fare certe scelte senza l’appoggio di alcune forze politiche.

            Aggiungo poi, e lo diceva già Guicciardini, che non si tratta solo di tassare case o altri beni, ma di dimostrare come certi capitali finiranno per esser produttivi e capaci di sviluppo senza finire per essere sperperati da una macchina burocratica spesso inefficiente ed onnivora. Capitali che, da inoperosi devono quindi diventare operosi. Anche questo non c’è forza politica che, oggi, possa farlo da sola. Chi lo pensa non ha il polso di un’opinione pubblica ormai sfiduciata e che non ha più voglia di ascoltare invettive e litigi, ma certezze e cooperazione.

            Cooperazione che servirebbe anche al sindacato. Il disagio attorno alla questione FIAT, altro tema di spaccatura, meriterebbe una più pacata riflessione. Quanto è avvenuto in Italia è stato già sottoscritto in Germania ed in altri Paesi ben prima. Capisco che il sindacato non possa intervenire in Paesi nei quali manca l’ABC dei diritti umani, come in Cina, ma, all’interno dell’Europa, che fine ha fatto il presunto internazionalismo sindacale? Sia il sindacato che firma sia quello che protesta hanno perso l’occasione di uscire dalle anguste logiche locali. In un mondo globalizzato, dove il discorso produttivo non può che essere sopranazionale, cosa aspetta il sindacato a darsi, sarebbe più giusto dire a recuperare, una dimensione adeguata? Dico a recuperare perché dovrebbe ancora avere nelle orecchie il grido “proletari di tutto il mondo unitevi”.

            Mi conosci bene e sai che non auspico la rivoluzione, però trovo che, almeno dove è possibile, affrontare i problemi del lavoro in modo più giusto non solo sia più logico, ma persino doveroso. Ecco perché, alla tua quinta tesi, dopo la dicitura “solidarietà sociale ed istituzionale” aggiungerei internazionale.

            E qui si innesta l’annoso problema dell’Europa. Ti confesso che sono stupito, al di là delle solite e ridicole discussioni che animano il parlamento europeo, dal fatto che il Vecchio Continente continui a non prendere mai una posizione in temi di politica estera, di ricerca, di politica energetica e, come in questo caso, di politiche del lavoro.

            A proposito di politiche energetiche, giorni fa mi è stata fatta un’obiezione da un giovane ricercatore. Si dice che il nucleare sia costoso ed infine poco remunerativo. Si può essere d’accordo o contrari col nucleare, ma come si fa a dimenticare che il costo della ricerca e degli impianti nucleari o di altri simili è, comunque, un investimento interno mentre le attuali spese energetiche disperdono all’estero capitali che non si recuperano più?

            Come vedi c’è in giro un po’ di confusione, conseguenza della mancanza di una serenità d’animo dovuta ad una visione politica troppo di parte ed estremamente antagonista. Mai come ora sarebbe auspicabile un clima reale di unità di intenti. Quello che occorre far capire ai più è che forse, mai come questa volta, si deve parlare di una effettiva svolta epocale. Nessuno può esimersi da un impegno costruttivo verso il bene comune che forse, negli ultimi cinquanta anni, non è apparso mai così concretamente stringente. Mi permetto di parafrasare Tocqueville dicendo che dobbiamo mettere da parte ciò che ferisce, e divide, per recuperare quelle differenze che servono e queste sono solo quelle che ognuno può mettere in comune con gli altri.

 

 

* Docente di “Storia del pensiero politico contemporaneo” – Lumsa, Roma

(Roma, 12 febbraio 2011)

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