Il mio limite sono io!

A proposito dell’articolo “Dal limite il di più” di Giulio Meazzini apparso sul n. 17/2011.
Oscar Pistorius

Giocare

 

«Perché quando si avverte il limite e lo si esprime, si fa in genere un sospiro di rammarico? Ma è proprio vero che il limite esiste, almeno nel significato riduttivo che siamo abituati a dargli? In realtà esistiamo proprio perché percepiamo i nostri contorni, la nostra voce, respiro, pensiero: il limite appunto! Il mio corpo è proprio quel limite che mi fa definire, apprezzandolo, l’altrui corpo, distinto dal mio. Il limite è l’esistere! Come non accorgerci della grandiosità del nostro limite? Come non apprezzare la mia unicità?

 

«Mi piacerebbe incontrare Oscar Pistorius, per conoscerlo a fondo. Lui vuole vivere e sembra proprio che per lui sia secondaria la sua amputazione, non si vergogna di correre con le sue protesi, gioiello di tecnologia. Le persone con disabilità cercano dunque il loro riscatto con lo sport? Riscatto da che cosa? Da una magra vita? Per superare un trauma? Per essere uguali agli altri? Cos’è dunque l’uguaglianza? Vuol dire essere “come” gli altri? O “di più” degli altri? Oscar non è meno uomo di nessuno! Nella sua impareggiabile diversità.

 

«Perché voglio un corpo uguale quando in realtà ogni corpo che nasce è diverso? Perché voglio a tutti i costi un corpo “tuttosano”, secondo canoni estetici e comportamentali “stereotipati” e perciò poco realistici? Solo amandolo come “unico” posso apprezzare il mio limite-mia pienezza, poiché io “sono” il mio limite, così intero come sono! Il corpo è comunicazione! Non è strumento! È un’enorme potenzialità di espressività, creatività, fisicità ma anche di socialità, quando i corpi si fanno gareggianti perché giocosi.

 

«Gareggiare equivale a giocare. Il gioco è come l’arte: fa sognare. Ed è spettacolo perché insieme, gareggianti e partecipanti, si fanno capaci di volare alto. Ciò avviene quando il corpo è donato e dunque non è più mio perché l’ho perduto nel giocare. Il gioco non è mai un fatto solitario, ma diventa sogno, un sognare sano perché generato da un volare di corpi, del corpo così com’è, come è presente al reale, alla realtà. Non il corpo strumentale, ipertrofico o ipertrofizzato dell’imposizione di sé sugli altri.

 

«Questa sarebbe anche una soluzione per il dramma, terribile, che alcuni vivono: la frustrazione che può portare all’autodistruzione. Si può essere campioni senza aver giocato con sé stessi! Si può essere campioni senza aver apprezzato il proprio limite, ossia la propria straordinarietà! Un vero peccato! Un’occasione perduta! Se sono felice dei miei contorni, mi amo. Ho la gioia che diventa apertura, fusione di cuori. In realtà è una fusione di limiti-pieni, pieni di grandissimo amore, per noi stessi e per quanti hanno scelto di gareggiare-giocare con noi. È unità!»

Beppe Porqueddu

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