Il caso Viroche

Storia di padre Juan: il prete antinarcos argentino e la calunniosa ipotesi di suicidio

La brutta pagina delle calunnie a mezzo stampa seguita all’assassinio di don Peppe Diana, un prete che difendeva la sua gente («Per amore del mio popolo non tacerò», si intitolava il proclama anticamorra che provocò la condanna a morte del parroco di Casal di Principe), si ripete in queste settimane in modo davvero sovrapponibile al di là dell’Atlantico, nello Stato provinciale di Tucuman, in Argentina. Se di don Peppe i giornali locali scrissero dopo l’omicidio del 19 marzo 1993: «Don Diana era un camorrista», e ancora: «Don Diana a letto con due donne», in quel lembo d’Argentina sui quotidiani e i siti on line si legge una velina che riguarda padre Juan Viroche, prete antinarcos trovato impiccato il 5 ottobre scorso: «Gli inquirenti hanno scoperto che i messaggi minacciosi ricevuti da Viroche arrivavano dai telefoni che erano intestati alla sua ex fidanzata, al fratello di questa e a uno zio». Ritorna insomma la calunniosa ipotesi di un suicidio per ragioni sentimentali, che sebbene sia stata già smentita, viene accreditata dal giudice che indaga e dal comandante della polizia. «Sappiamo tutti che non è così, come ben comprende la gente che ha incontrato padre Juan. Nel trascorrere dei mesi si tenta sempre più di contaminare l’immagine nobile del sacerdote, per far dimenticare il dovere di cercare i veri colpevoli», replicano i parrocchiani. «Un sacerdote che ha combattuto così duramente per i poveri e i tossicodipendenti non può fermare la sua lotta per stringersi una corda intorno al collo», spiegano. «Al governo locale non conviene che si scopra la verità perché fa affari con i narcos», scrive su Facebook un amico di Viroche. E in effetti sono facilmente rilevabili gli intrecci tra la politica e la criminalità comune in quella provincia, dove gli stessi boss controllano il traffico della droga e la tratta delle ragazze destinate a prostituirsi nei night. Proprio questa attività era messa a rischio da un’annunciata denuncia del sacerdote che è stato trovato impiccato all’interno della sua parrocchia. E nei giorni scorsi, a 6 mesi dall’uccisione, il parlamentare di Buenos Aires Gustavo Vera ha partecipato in teleconferenza a un convegno sul narcotraffico all’università Lumsa di Roma per insistere sul fatto che la morte del sacerdote è stata un omicidio pianificato dai più alti livelli dell’intelligence, ancora legati agli amici del dittatore Videla. «Siamo certi – ha spiegato Vera – che dal gennaio dello scorso anno la Federal Intelligence Agency argentina (Afi) abbia installato una base operativa a Tucuman. Vera ha presentato un dossier con le informazioni da lui recapitate al procuratore federale Paul Camuna. Si tratta di una notevole quantità di dati che dimostrano quale sviluppo abbia raggiunto la narco-criminalità nella zona di Florida e Delfin Gallo, le due comunità affidate a padre Viroche. Una diffusione che chiama in causa sia i criminali che si occupano della vendita della droga che altre persone che non possono giustificare la loro crescita economica». Inoltre, al procuratore, Gustavo Vera ha passato informazioni specifiche sul perché dopo l’omicidio ci sia voluto così tanto tempo per ottenere il corpo dall’obitorio: si è cercato di cancellare i segni delle percosse inflitte a padre Juan prima di appenderlo svenuto al lampadario della sua chiesa per simularne il suicidio. Vera ha detto anche di aver informato papa Francesco sulle sue iniziative e che il pontefice, a Santa Marta, ha nello scrittoio le foto del corpo di Viroche segnate dalle percosse che testimoniano il furore con il quale è stato ucciso.

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