Il battito e la calligrafia

Per Carolyn Carlson la danza è come la pittura, un pensiero interiore, una poesia visiva. La tipica affabulazione della coreografa e ballerina californiana d’ascendenze finniche, fatta di scatti veloci, di pause in sospensione, di gesti scultorei e plastici soprattutto delle lunghe fluide braccia, l’abbiamo ritrovata – ma senza le memorabili dinamiche di altri lavori – nel nuovo spettacolo Metaphore. Ed è ancora, come in altre creazioni, una riflessione sulla vita e sui diversi stati d’animo che l’attraversano. Sono movimenti meditativi, di ascolto interno, che attingono alla pratica zen e a quell’Oriente del quale la poetica della Carlson è intrisa. Si fondono così segni fuggevoli come il gesto, la musica e la calligrafia. Gli elementi unificanti e ispiratori sono infatti la musica del turco Kudsi Erguner e la calligrafia di Hassan Maasoudy, d’origine iraniana. Su un palcoscenico cosparso di tappeti, tra contrasti d’ombra e raffinati tagli di luce, i quattro danzatori (tra cui il suo compagno storico Larrio Ekson) appaiono come vibranti pennellate i cui movimenti accompagnano e prolungano i segni calligrafici proiettati sullo schermo e dipinti in tempo reale da Maasoudy. Denso e visivamente catturante l’attenzione, Metaphore non è però partitura facile da decodificare, e ci lascia con un senso di indefinito, proprio come lo è il gesto danzato che svanisce nell’aria. Al Valle di Roma per la rassegna dell’Eti Tersicore, nuovi spazi per la danza. Potrebbe sembrare un semplice esercizio ritmico; un gioco di gruppo – seppure serio e impegnativo – in una danza circolare, spezzata e continuamente ricomposta; una ipnotica sequenza matematica di passi e battute. Invece Ballo individuale in circostanze costrette, della scuola Stoa della Socìetas Raffaello Sanzio, è qualcosa di più, perché questo montaggio di movimenti ininterrotti rivela un’alfabeto interno – direi interiore – che regola i rapporti umani. È una catena di relazioni dettata dagli impulsi di una musica, perlopiù martellante, di colpi e battiti che dà l’impulso agli otto giovanissimi performer. Vestiti simili a cosacchi, essi intrecciano infinite combinazioni con traiettorie circolari, di file, di piccoli salti, in una sbalorditiva sincronia e unità. Quasi un corpo unico che pulsa, respinge e si ricongiunge nelle sue membra. Gli apprendisti danzatori si moltiplicano in venti nel successivo Ballo capace di agonia. E le combinazioni che ne derivano – tracciate anche sul pavimento come caselle da riempire – si complicano armoniosamente in schiere contrapposte che si intralciano, si incastrano, generando duelli, corse, rotazioni da dervisci. Un flusso di energia che colpisce occhi e udito, stordisce e ammalia.

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