I volti dei morti

L’orrore della morte, la tragedia dell’esistenza, non riescono a scalfire l’umanesimo cristiano del giovane Igino.
Igino Giordani

Nel 1919, appena uscito dalle sale operatorie, guarito dalle ferite riportate nella Prima guerra mondiale, Igino Giordani scrive I volti dei morti, versi ai quali affida le drammatiche esperienze vissute in trincea. L’orrore della morte, la tragedia dell’esistenza, non riescono a scalfire l’umanesimo cristiano del giovane Igino.

 

 Io sovente la linea del fronte percorrevo

 e ristavo a parlar coi fanti resi

 lordi irriconoscibili dal fango

 e da la febbre che li distruggeva.

 Un giorno (sempre lo rammento) un fante

 mi chiamava, dicendomi: «Si fermi,

 signor tenente; resti qui un momento».

 E su le sue ginocchia mi faceva

 seder con grazia ingenua, con sorriso

 scusandosi: «Mio figlio ella potrebbe

 essere a la sua età. Sosti un momento!».

 E mi narrava de la sua famiglia,

 ch’egli aveva resa agiata col lavoro,

 e mi mostrava una fotografia

 di vispi bimbi, assai leggiadramente

 vestiti: «Sono questi i miei figliuoli:

 e sono assai studiosi e intelligenti».

 E ne’ suoi occhi sorridea una lagrima.

 Non li rivide più: mentre scriveva

 ai suoi figliuoli chino, una granata

 il cranio gli fendeva, seppellendo

 sotto il fango ruinato i suoi vicini.

 In un telo da tenda l’avvolgemmo

 perché posasse anch’esso sotto il limo.

 

 Il ricordo ultimo è una stradetta, che percorsi

 con certezza di morte, seminata

 d’austriaci morti e nostri con in pugno

 stretto il fucile con la baionetta.

 Uno aveva la lama a mezzo il fodero

 in atto di levarla con la destra:

 ed in quel gesto l’arrestò la morte.

 Li batteva la pioggia fredda, uguale,

 e senza fine. Tutti avean quei volti

 che mi danno ora lagrime roventi.

 Non nemici io ci vidi: gravi volti

 di babbi assueti a carezzar tepenti

 chiome d’infanti e a ridere bonari

 dopo il lavoro rude d’ogni giorno,

 tra una nidiata garrula, a la sera.

 

(Da I volti dei morti, 1919, vv. 590-645, passim)

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