Hopper: la luce del solstizio nel cuore

Dai quadri in mostra alle strade di Roma, la luce come specchio dell’anima.

È possibile che la luce di un dipinto si faccia strada nella nostra sensibilità per prendervi dimora stabile? È ammesso che ci seduca al punto da cercarla e riconoscerla anche fuori dalle sale di un museo? Risolviamo subito il quesito in maniera dispotica e arbitraria: sì. È possibile, è ammesso, è necessario e quasi doveroso. Provare per credere! Basta seguire le seguenti indicazioni come in un ricettario estetico e disporsi ai mutamenti che una formazione sentimentale porta sempre con sé.  Prenditi una mattina libera, sospendi i pensieri e le incombenze, le faccende che ti occupano e quelle che ti preoccupano.

Visita la mostra di Edward Hopper, sensibile interprete della luce e del silenzio. Nei suoi quadri, le normali vicende umane sospendono il proprio tran tran per svelare delicatamente una profonda bellezza. I brani di vita e le storie di ogni giorno si elevano come un canto all’universale fragilità degli individui. Delicata e struggente, la malinconia di quelle immagini diventa, anche per lo spettatore che vi s’immedesima, un momento di silenzio, d’introspezione, di sincerità interiore. Uomini e donne sono colti negli atteggiamenti più tipici e comuni ma, al contempo, si trasfigurano in immagini evocative e universali, dove un qualsiasi uomo diventa l’uomo. Lo stato emotivo dei personaggi sembra accordarsi all’illuminazione delle scene. Che sia quella fredda di un bar di second’ordine o quella anonima di una sala d’aspetto, quella chiara del mattino o quella calda di un tramonto, la luce diventa la metafora di un sentimento.

Fra i vari tipi di illuminazione, la grande passione di questo artista è indubbiamente la luce naturale. Che sia alba o tramonto, Hopper ama il sole basso che proietta sui muri delle case luci intense tagliate da ombre nette. Vien naturale rispecchiarsi in queste figure pacate e silenziose che, quasi sempre, sono rivolte al sole, a goderne il conforto, il calore, attente a cercare uno scampolo di piena luce, fosse anche un ritaglio strappato all’ombra grazie ad una finestra aperta. È strano come questo aspetto ricorrente dell’arte di Hopper sia stato poco notato e indagato. In diversi quadri gli individui non sono affaccendati ma immoti e assorti; paiono aver un solo scopo: guardare quella luce nitida che irrimediabilmente li attira e li interpella, concedersi al valore tutto interiore di un dialogo senza parole, sospendendo il corso della vita e del tempo.

Fare l’esperienza di queste opere significa, inevitabilmente, entrare nella pelle dei personaggi che le abitano, disarmarsi lentamente e lasciare scivolare via le maschere mentre quella luce accarezza l’anima, magari anche solo per un momento, ma un momento fuori dal tempo.

Esci dalla mostra, il panorama è diverso: la gente corre, i rumori della strada si accavallano, eppure, quel momento fuori dal tempo… persiste, e quel dialogo interiore, continua. Basta alzare lo sguardo per ritrovare l’interlocutore silenzioso: la luce. Eccola investire le facciate dei palazzi che, ai piani alti, sfuggono alla frenesia e al frastuono. L’unica azione è quella silenziosa di luci ed ombre che giocano lungo il ritmo della parete, sulle finestre, sui cornicioni.

L’incanto luminoso di quel sole basso, tanto amato da Hopper, si ripresenta al nostro sguardo, complice un solstizio d’inverno ancora vicino. La sua luce si stende cristallina su case e palazzi come un velo di pace, si incunea nelle strade incendiandole al tramonto, avvolge i casolari in campagna, quasi a custodire i ritmi lenti del lavoro nei campi, entra perentoria dalla finestra di casa disegnando sulle pareti luci ed ombre da ammirare e interpretare. O, infine, arriva ad accarezzare anche la nostra persona, senza accecarla, senza ferirla, magari solo per riscaldare le ossa e il cuore; un bacio dal sole che scioglie piano la crosta di convenzioni per illuminarci su chi o che cosa ci fa davvero stare bene, per dirci la sostanza preziosa di cui siamo fatti.

 

Se, seguendo le indicazioni e le suggestioni di questa rubrica, ritrovi nel tuo paesaggio la seduzione della luce di Hopper, raccontacela. Cosa stai guardando? Dove ti trovi? Che ore sono? Invia una foto del tuo scorcio urbano investito dalla luce e racconta il sentimento che ti evoca. Su questa stessa pagina ne verrà pubblicata una sintesi. Puoi inviare il tuo contributo a: segr.rivista@cittanuova.it specificando nell’oggetto: questioni di sguardo.

 

Edward Hopper, Complesso del Vittoriano, Roma, fino al 12/2/2017

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