Giulio Regeni vittima della politica

Un caso da manuale della politica internazionale: sistemi di gestione del potere diversi, interessi economici comuni, la commedia di posizioni inconciliabili che la realpolitik ammannisce ai rispettivi elettorati  
Giulio Regeni

Ricorre in questi giorni l’anniversario dell’omicidio di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Gli striscioni gialli Verità per Giulio Regeni sono appesi ovunque in Italia.

Nel suo paese natale, Fiumicello Villa Vicentina in Friuli, la famiglia ha promosso come ogni anno un commovente momento di ricordo del ventottenne scomparso, trasmesso in collegamento televisivo nazionale su Rai1 (La vita in diretta). A Fiumicello c’era anche il presidente della Camera, Roberto Fico, che ha detto fra l’altro: «Quando sono andato a parlare con il presidente egiziano al-Sisi gli ho detto che l’Italia sa che sono stati gli apparati dello Stato egiziano a rapire, torturare e uccidere Giulio Regeni e lo Stato egiziano deve fare verità su se stesso».

Probabilmente è vero quello che ha detto il presidente Fico, solo che lo Stato egiziano non solo non vuole, ma probabilmente non può politicamente riconoscere questa verità. Ogni anno le persone che in Egitto improvvisamente scompaiono per motivi politici sarebbero diverse migliaia, quelle ritrovate morte almeno mille e forse altrettante quelle scomparse nel nulla.

La gente in Egitto sa molto bene che basta una frase sospetta di dissenso per scatenare le indagini “legali” dei mukhabarat, i servizi segreti interni. Al-Sisi non può certo dare in pasto ai giudici italiani, e quindi al mondo, funzionari che sono abilitati dalla legge instaurata dal suo regime a operare arresti arbitrari e a praticare torture in nome della sicurezza nazionale.

E Giulio Regeni, certamente ben oltre le sue intenzioni, poteva – secondo un certo modo di vedere – essere sospettato di opporsi allo Stato: la docente di Cambridge e tutor di Regeni, l’anglo-egiziana Maha Mahfouz Abdel Abdelrahman, non ha mai nascosto la sua ostilità verso l’attuale presidente egiziano, e questo in certi ambienti dei servizi segreti sarebbe stato sufficiente per sospettare del ricercatore italiano. E il sospetto equivale forse già ad una colpa, se non ad una condanna, per qualche funzionario dei mukhabarat in cui Regeni può essersi imbattuto.

La magistratura italiana ha fatto tutto ciò che è in suo potere, pur avendo di fronte il muro di gomma di quella egiziana; ma c’è un altro lato da non sottovalutare nella scomoda storia legata dall’omicidio di Giulio Regeni, quello che riguarda l’atteggiamento dei governanti di casa nostra, e non solo degli attuali, oltre le dichiarazioni ufficiali.

I rappresentant italiani, in pratica, non possono politicamente pretendere una verità che sarebbe troppo imbarazzante per i rapporti fra i due Paesi e per le implicazioni economiche che comporterebbe. L’Egitto è un partner commerciale di peso per l’Italia: sono almeno 150 le aziende italiane attive nel Paese e l’interscambio in crescita fra i due Stati si aggira ormai sui 5 miliardi di euro l’anno, senza contare i ricchi giacimenti di gas scoperti e gestiti dall’Eni, che non sono ancora entrati in produzione.

Ma l’aspetto più inquietante è la vendita di armi. Secondo dati della Gazzetta ufficiale dell’Ue, nel 2017 il governo Gentiloni ha autorizzato esportazioni di armi in Egitto per 7,5 milioni di euro e le aziende italiane con licenza, sempre nel 2017, hanno esportato verso il Paese delle piramidi 17,7 milioni di euro in forniture militari.

Le vendite su licenza hanno comportato forniture di bombe, missili e siluri, apparecchiature elettroniche e spaziali, ma oltre 6 milioni di euro erano costituiti da prodotti chimici antisommossa, armi leggere e munizioni: in pratica si potrebbe in certo modo dire che le armi con le quali i mukhabarat avrebbero legalmente pedinato, catturato e ucciso Giulio Regeni potevano essere made in Italy, vendute legalmente da aziende italiane con licenza governativa.

Queste cifre e forniture non riguardano però solo il passato. Le aziende italiane di armi hanno fatto anche di meglio con l’autorizzazione del governo Conte: nel solo mese di luglio 2018 (dato Istat) si è per esempio registrato un picco di forniture di armi all’Egitto per un valore di quasi 2 milioni di euro.

A Fiumicello il presidente Fico ha fatto anche una vaga allusione a possibili sanzioni se il governo egiziano non si deciderà a denunciare i responsabili dell’uccisione di Giulio Regeni: «Se sussiste questo stallo vanno rivisti i nostri rapporti economici», ha detto Fico. Non ha però detto se la revisione riguarderà gli acquisti di nitrati o le forniture di armi, e chi sarà così temerario da avanzare una misura del genere.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons