Giornata del Ricordo, semi di pace nella tragedia

«Il ricordo, anche il più doloroso, anche quello che trae origine dal male, può diventare seme di pace e di crescita civile». Il messaggio di Mattarella per la Giornata dedicata alla memoria della “tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe” e “della più complessa vicenda del confine orientale” del nostro Paese.
Ricordo Giornata del Ricordo foto Wikipedia

La Giornata del Ricordo, istituita in Italia con una legge del 2004, può rappresentare l’occasione per rivolgere l’attenzione a quel confine orientale del nostro Paese che è solitamente trascurato e rimosso nella coscienza nazionale a causa delle vicende tragiche e complesse che lo hanno caratterizzato nella storia passata e in quella recente.

La solennità civile nasce, infatti, «dalla necessità di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Come sottolinea lo storico Raoul Pupo, uno dei più autorevoli esperti in materia, ciò che si ricorda nella celebrazione del Giorno del Ricordo è «un periodo lungo» che parte dagli infoibamenti, e cioè «le stragi avvenute a ondate nell’autunno ’43 e nella primavera/estate del ’45», per continuare con «l’esodo, cominciato con lo sfollamento di Zara nel 1943 e concluso nel 1956». Le cifre più verosimili parlano della scomparsa di un numero che va da 3.000 a 5.000 persone oltre a 300mila esuli. In diverse città italiane esistono, infatti, fiorenti comunità di discendenti dei profughi istriani e dalmati. Allo stesso tempo sottolinea Pupo, vi sono «poi le altre vicende del confine orientale, per cui si va indietro all’occupazione italiana».

È un ricordo traumatico che porta ancora a divisioni profonde con accuse di negazionismo reciproco tra destra e sinistra sulla ricostruzione del periodo convulso del crollo del regime fascista e la fine della seconda guerra mondiale.

Cade sempre nel mese di febbraio la memoria dell’eccidio di Porzus, in Friuli, dove tra il 7 e il 18 febbraio 1945 furono trucidati 17 partigiani della Brigata Osoppo, cattolici e di estrazione laico socialista, da parte di formazioni partigiane comuniste collegate con l’esercito di Tito.

Secondo Lorenzo Fontana, responsabile esteri della Lega, «per molti, troppi anni, un volontario silenzio e negazionismo, hanno celato l’immane tragedia dei nostri connazionali allontanati con la forza dalle loro case e uccisi dai comunisti titini».

Da parte sua il presidente dell’Associazione nazionale dei partigiani italiani (Anpi), Gianfranco Pagliarulo, fa notare che «da troppo tempo una consistente parte delle celebrazioni ha assunto un carattere divisivo, all’insegna del nazionalismo, di nostalgie irredentistiche e persino della riabilitazione del fascismo storico».

È perciò importante seguire lo sforzo che sta portando avanti il presidente della Repubblica con la politica esemplare dei gesti pubblici di pacificazione, come la restituzione, avvenuta a Trieste nel 2020, del palazzo Narodni Dom, incendiato dagli squadristi nel 1920, alla minoranza slovena in Italia assieme al presidente della Repubblica di Slovenia Borut Pahor assieme al quale si è recato in visita alla foiba di Basovizza.

In quella occasione, rivolgendosi a Pahor, Mattarella ha detto che «la storia non si cancella e le esperienze dolorose, sofferte dalle popolazioni di queste terre, non si dimenticano. Proprio per questa ragione il tempo presente e l’avvenire chiamano al senso di responsabilità, a compiere una scelta tra fare di quelle sofferenze patite, da una parte e dall’altra, l’unico oggetto dei nostri pensieri, coltivando risentimento e rancore, oppure, al contrario, farne patrimonio comune, nel ricordo e nel rispetto, sviluppando collaborazione, amicizia, condivisione del futuro».

Nel messaggio inviato per la ricorrenza del 2022 il presidente Mattarella ha affermato che «il Giorno del Ricordo richiama la Repubblica al raccoglimento e alla solidarietà con i familiari e i discendenti di quanti vennero uccisi con crudeltà e gettati nelle foibe, degli italiani strappati alle loro case e costretti all’esodo, di tutti coloro che al confine orientale dovettero pagare i costi umani più alti agli orrori della Seconda guerra mondiale e al suo prolungamento nella persecuzione, nel nazionalismo violento, nel totalitarismo oppressivo».

Lo sguardo principale è rivolto alle «genti e terre del confine orientale che hanno vissuto con drammatica intensità» quelle tragedie tenendo presente il percorso degli eventi che sono all’origine delle violenze subite: «La sciagurata guerra voluta dal fascismo e l’occupazione nazista furono seguite, per questi italiani, da ostilità, repressione, terrore, esecuzioni sommarie aggravando l’orribile succedersi di crimini contro l’umanità di cui è testimone il Novecento».

Il centro dell’intervento si può trovare in questa frase emblematica: «Il ricordo, anche il più doloroso, anche quello che trae origine dal male, può diventare seme di pace e di crescita civile».

E va in questa direzione «la scelta di Gorizia e Nova Gorica, che saranno congiuntamente Capitale della Cultura europea 2025». Un fatto che «dimostra quanto importante sia per l’intera Unione che la memoria delle oppressioni disumane del passato sia divenuta ora strada dell’amicizia, della comprensione, del primato della dignità delle persone».

Una prospettiva che va coltivata e portata avanti con costanza e determinazione oltre la data del 10 febbraio. E in questo senso merita riprendere l’auspicio fatto da Pagliarulo perché la ricorrenza «sia una giornata di rispetto e non di oltraggio, di analisi storica e non di propaganda, di fraternità e non di odio, di pace e non di guerra».

 

 

 

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