Gesù l’extracomunitario

Quando la maestra entrò in classe, la mattina del 16 dicembre, il presepe campeggiava ben in vista su tre banchi accostati all’angolo sinistro dell’aula accanto alla cattedra. Cinquantacinque anni ben portati, l’insegnante Maria Emilia, Milly per accorciare, godeva di una grande stima ed affetto. Madre di tre figli, era diventata nonna di fresco: fatto, questo, non di secondaria importanza per i suoi alunni. Di lei correva la fama che, in tanti anni, non avesse mai alzato il tono della voce in classe. Non era mai stato necessario. I ragazzi avevano appena terminato la loro opera, ed erano fieri ed insieme impazienti di mostrare la sorpresa. Il Bambino è mio, disse con compiaciuto senso di protezione Cinzia, una brunetta tutto pepe. Ahò, ma nun t’assomija pe’ gnente!, commentò Giulio, famoso per le sue battute, non sempre azzeccate, nell’osservare il principale personaggio del presepe, che secondo i canoni più in voga dell’arte sacra popolare, era biondo, ricciuto e con gli occhi azzurri che più azzurro non si può. Ma subito, parlando seriamente, sentenziò che, in realtà, Gesù assomiglia a tutti noi, perché Dio ci ha fatto tutti… a sua immagine e somiglianza. La Madonna, opera di Alessia, teneva in mano un biberon, perché bisognava consumare tutto quel latte che portavano i pastori, mica c’era il frigo a quei tempi!. Mentre san Giuseppe, che Flavio aveva realizzato prendendo per modello il suo papà, preparava il cambio per il pupo. L’asinello di Mirko inforcava un enorme paio di occhiali, per imparare anche lui a leggere e non farsi più trattare da somaro ignorante. E il bue di Giacomo cercava di intonare una ninna nanna aiutato dal mangianastri che Silvio azionava al momento giusto. Gigi presentò il suo angioletto calciatore. Portava una maglietta celeste come il cielo… laziale e teneva sotto il braccio un pallone perché sicuramente anche a Gesù da piccolo piaceva giocare. Antonio, dal canto suo, per ottemperare alla par condicio, mostrò un angelo con una grande fascia giallorossa, che brandiva al posto della tromba il gagliardetto della squadra del cuore, da offrire in dono, come si conveniva, al neonato Bambino. Laura posizionò invece due pastorelli ed una piccola venditrice di pane, perché il lavoro minorile è una piaga molto antica, esisteva anche ai tempi di Gesù. Avendo appurato, dopo adeguate ricerche fatte su internet con l’aiuto di zia Gina, che i Magi che si posero in viaggio al seguito della stella cometa erano senz’altro più di tre, Roberto aggiunse alla spedizione esplorativa più fortunata della storia la statuina del pellerossa Toro seduto, il sapiente gran capo dei Sioux. Anche lui, osservando nei pascoli del cielo la Via Lattea che porta al gran regno di Manitou, vide una stella luminosa che attraversava il firmamento portandosi dietro una scia di luce, e si mise in viaggio. Anche lui, in un continente lontano, aveva sentito un messaggio di pace agli uomini di buona volontà. Ma i ragazzi avevano in serbo un’altra sorpresa. Guardi le stelle del cielo, fece Giulio alla maestra Milly. Sullo sfondo blu del presepe, erano incollati dei tondini di carta con i volti di uomini, donne e ragazzi di ogni colore, razza, lingua. Rappresentano – spiegò il portavoce – i giusti della terra, che sono entrati nel Regno dei cieli, perché hanno praticato le beatitudini evangeliche anche se, come ci ha detto la maestra del catechismo, ignoravano Cristo. A quel punto si fece avanti Giorgio, che lesse il discorso della montagna: Beati i poveri in spirito, beati i costruttori di pace, beati i puri di cuore, beati i miti, i misericordiosi… Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. La maestra era visibilmente commossa, ma i suoi alunni dovevano ancora riferirle i risultati della ricerca sul Natale svolta dai tre gruppi di studio. La tradizione del presepe – riferì Alessia – fu iniziata da san Francesco nel 1223 a Greccio, con personaggi presi dal vivo. E fu il Poverello di Assisi a fare entrare ufficialmente nella stalla della natività l’asino ed il bue, che non sono menzionati nei vangeli. Giacomo invece, mostrando un dossier di riproduzioni artistiche, ricordò che la scena della nascita e quella dei Re magi fu raffigurata dai più grandi pittori, Giotto, Botticelli, Giorgione, Parmigianino. Federica infine mise in evidenza il significato dell’umanesimo cristiano, dei valori nuovi portati da Gesù. Il Natale – esordì – evoca la nascita di Dio che si è fatto uomo ed è vissuto tra noi. Come un emigrante che porta nella terra dove va a vivere le sue tradizioni, le sue mode, lui ci ha portato le consuetudini e le mode del Cielo, la sua patria. Ci ha portato il valore di ogni bambino, la pari dignità delle persone umili, la generosità nell’aiutare chi è nel bisogno, la pace e la pacifica convivenza dei popoli, l’accoglienza dei doni portati da persone di altre culture. In poche parole, ci ha portato l’amore. E, prima di impappinarsi, tagliando corto, concluse: Se quel Bambino non fosse nato, oggi noi non saremmo qui a parlare di queste cose. Quando finalmente Milly poté aprir bocca… suonò la campanella. All’insegnante non restò altro da aggiungere: Siete stati bravi, ragazzi, e… buon Natale.

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