Di fronte alla tragedia di Christchurch

La terrificante notizia del massacro in due moschee suscita interrogativi senza risposta. La violenza chiama violenza, l’odio chiama odio. Un commento a caldo del nostro corrispondente dall’Asia

 

Ogni volta che entro in uno dei musei della guerra, soprattutto quello di Ho Chi Minh city, devo, ad un certo punto, fermarmi, mettermi a sedere, perché non riesco ad andare avanti. Quelle foto, quell’immagini di persone innocenti uccise, quel dolore che si percepisce toccando i cannoni, gli obici fuori dal museo, mi fanno piangere. Non ho timore a confessarlo. Con la domanda per eccellenza – perché – e nessuna risposta.

Ho iniziato a leggere le agenzie di stampa che raccontano il massacro perpetrato in Nuova Zelanda, a Christchurch, una città peraltro tranquillissima, nell’isola meridionale del Paese agli antipodi dell’Italia. Si parla di 4 attentatori (tre uomini, 2 neo zelandesi e un australiano, ed una donna), che hanno attaccato due moschee stracolme di fedeli che pregavano (si parla di 500 persone) e ucciso più gente che hanno potuto, 49 morti e 48 feriti: i numeri stanno aumentando minuto dopo minuto.  Sotto alcune auto erano stati piazzati degli ordigni esplosivi, pronti a far saltare in aria altre persone. Al momento sembra che tutto sia finito.

I mezzi di comunicazione vengono usati per informare in diretta, per diffondere queste news disastrose. Sembra che siano stati concepiti (ma non è così, anzi è proprio il contrario) per diffondere il Male, con la maiuscola. Ricordo che in Thailandia, il 26 aprile del 2017, c’era stato un omicidio-suicido ripreso in diretta live stream su Facebook, ad opera di un padre irato contro la moglie, che aveva impiccato la propria figlia di 11 mesi, per poi togliersi la vita. Tutto ripreso e divulgato su Facebook. E così accade sempre più normalmente. Nel caso odierno della Nuova Zelanda, il sospettato principale ha postato in rete il suo manifesto di ben 87 pagine, prima di perpetuare la strage.

Le notizie parlano di spari iniziati alla moschea di Masjid Al Noor alle ore 13,45. Il 28enne arrestato ha diffuso in rete un video con circa 100 spari e un dettagliato filmato che documenta la tecnica perversa con cui ha eseguito il suo “atto terroristico”, come lui stesso lo ha definito. Emerge dalle prime indagini che i suoi sei fucili automatici e semi automatici erano tappezzati di scritte delle precedenti carneficine avvenute in altre parti del mondo sempre in moschee, come volesse significare che lui era solo la continuazione di un’assurda storia di Male, che trova la sua origine ai tempi di Caino e del primo sangue innocente versato. Tutto questo ha già iniziato a scatenare polemiche sulla legge (poco chiara) sul possesso di armi da guerra in Nuova Zelanda e sulla possibilità di utilizzare i social media per diffondere immagini di fatti terrificanti che istigano all’odio ed all’emulazione.

Mentre scrivo continuo a seguire gli aggiornamenti sulla Rete. Come icona di questa giornata terribile scelgo la semplice domanda di Kerry, che The Guardian riporta. 15 anni, ancora impossibilitata a far ritorno a casa alle 2.16 del mattino, ora locale, dice al reporter: «Perché tutto questo accade a delle persone innocenti che stanno pregando?».

 

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