Finanza, populismi e lobby

Donald Trump dichiara di voler sostenere alcune misure richieste da tempo dalla finanza responsabile. Le lobby sono attrezzate per resistere, afferma Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca etica, ma il cosiddetto populismo di destra intercetta dei malumori reali che la sinistra liberal non riesce a vedere
ansa wall street

Nei laboratori sulle origini della crisi, promossi dal Movimento politico per l’unità tra parlamentari ed esponenti della società civile, si è dibattuto a lungo non solo della piaga dei paradisi fiscali, ma anche della necessità di ripristinare una netta separazione tra le banche commerciali, che svolgono la funzione tradizionale del credito diretto a famiglie e imprese, e le banche d’affari orientate fisiologicamente da logiche speculative. In questo senso concorde si esprimono i rapporti di esperti incaricati dalla Commissione europea perché, come spiega l’economista Leonardo Becchetti, «la commistione tra banca d’affari e banca commerciale finisce per aumentare le inefficienze del sistema bancario-finanziario che può essere immaginato come un grande acquedotto pieno di perdite e di buchi nel quale una parte molto consistente dell’acqua pompata non arriva ai beneficiari finali» ma viene dispersa in manovre di puro azzardo.

   

Come sa chi ha seguito la lunga campagna per le presidenziali statunitensi, Donald Trump aveva promesso espressamente il ripristino della legge Glass-Steagall e cioè, appunto, la separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari.  Sarà in grado di muoversi davvero in questa direzione? Sembra tuttavia una leva importante nella scelta degli elettori americani contro il mondo di Wall Street considerato all’origine della persistente crisi finanziaria mondiale.

Su questa strana e paradossale concordanza, tutta da verificare, tra una delle proposte della finanza etica e le promesse di Trump, abbiamo rivolto qualche domanda a Andrea Baranes, Presidente della Fondazione culturale di Banca etica

  

L’abolizione della legge Glass Steagall è stata una scelta di Bill Clinton, il presidente icona della democrazia liberal. Ora arriva il presidente di destra, interna al mondo degli affari, e annuncia di voler frenare la speculazione reintroducendo la separazione tra banche commerciali e quelle di affari. È la vostra tesi sulla finanza responsabile. Non siete sorpresi?

 

«È una sorpresa, ma fino a un certo punto, così come fu relativamente una sorpresa che l’abrogazione definitiva del Glass Steagall Act avvenisse sotto amministrazione democratica. Gli anni ’80, che si aprirono con Reagan alla Casa bianca, inaugurarono il trentennio neoliberista di smantellamento di regole e controlli, che coinvolse ogni schieramento politico. L’abolizione del Glass-Steagall Act fu uno dei molti passaggi chiave di tale percorso.

In qualche modo si può affermare che dopo lo scoppio della bolla dei subprime e la conseguente crisi finanziaria del 2008, il pendolo sta forse tornando indietro, dopo la sbornia neoliberista, e dopo l’evidente paradosso di banche che per decenni hanno evocato il libero mercato per poi ricorrere a migliaia di miliardi di salvataggi pubblici. Profitti privati finché le cose vanno bene, socializzazione delle perdite quando il giocattolo si rompe. Una follia in qualsivoglia sistema economico, se non altro perché porta a esasperare l’azzardo morale: se so che posso solo vincere ma che se perdo arriva un paracadute pubblico, logico che il mio comportamento sia assumermi il massimo dei rischi».

 

Quindi cosa sta accadendo di strano? 

«Anche se con enorme lentezza, stiamo forse assistendo a un ripensamento di alcuni dogmi che hanno guidato l’economia – e le politiche economiche dei governi – negli scorsi decenni. La cosa che stupisce non è quindi che si pensi di reintrodurre il Glass-Steagall Act, ma semmai che a farlo sia la destra interpretata da Trump. Uno dei motivi che hanno portato alla sconfitta della Clinton è probabilmente stata l’immagine di persona legata a doppio filo all’establishment e a Wall Street. Il paradosso è in una candidata democratica che appare più liberista di quello repubblicano. Amara ironia pensare che il marito Bill ha abrogato la separazione tra banche commerciali e di investimento, e che sui rapporti troppo stretti con le megabanche che da quella decisione sono nate, sia naufragata anni dopo la candidatura della moglie».

 

Quello di Trump è solo un annuncio propagandistico, impossibile da realizzare, oppure ci sono margini per andare verso questo obiettivo?

«Difficile dirlo. In assoluto l’obiettivo sarebbe perfettamente realizzabile. Il Glass Steagall Act è stato approvato dopo la crisi del ’29, e ha funzionato perfettamente per oltre mezzo secolo. Chi dice che oggi non sarebbe possibile una legge simile, sta unicamente riconoscendo in maniera implicita che la finanza è diventata troppo complessa e ipertrofica per essere regolamentata, e quindi sta dando ragione proprio a chi dice che bisogna ridurne volumi e complessità. Esattamente quello che farebbe una legge per separare le banche commerciali da quelle di investimento. Difficile infatti affermare che fino agli anni ’80 le banche non erogavano credito o la finanza era in difficoltà per colpa del Glass Steagall Act. Al contrario, è negli ultimi anni che si sono moltiplicate, tanto in numero quanto in gravità, crisi e disastri del sistema bancario e finanziario».

 

Quali sono gli ostacoli veri?

«Come per altri ambiti della regolamentazione finanziaria, le maggiori difficoltà non sono di natura tecnica, ma politica. Dal contrasto alla speculazione alla lotta ai paradisi fiscali ad altro ancora, sappiamo cosa andrebbe fatto e come farlo. Se non si va avanti, è per l’enorme quanto vergognoso potere delle lobby del settore. È in questo senso che i margini per reintrodurre una versione moderna del Glass Steagall Act appaiono strettissimi, più che per Trump in sé per la gran parte dell’establishment politico statunitense, e in particolare del partito repubblicano che domina il congresso e con il quale bene o male Trump dovrà fare i conti».

 

Quali altri elementi annunciati da Trump, come l'incentivo al reshoring ( il ritorno in patria della manifattura industriale), andrebbero nella direzione auspicata dalla finanza etica? Sarebbe un test per capire se si tratta solo di un bluff…..

«Sono diverse le dichiarazioni di Trump che in qualche modo si avvicinano alle richieste che reti e organizzazioni della società civile hanno portato avanti in questi anni. Se sul piano dell’immigrazione o dei diritti le sparate di Trump sono semplicemente irricevibili, in ambito economico o finanziario, il suo populismo di destra ha saputo raccogliere molto più e molto meglio della controparte i sentori e i malumori dei cittadini. Pensiamo all’ostilità verso gli accordi di libero scambio, a partire da quel Ttip che viene duramente criticato e contrastato da milioni di cittadini tanto negli USA quanto qui in Europa».

 

Quindi il contrasto al Ttip manifestato da Trump è un altro segnale importante?

«Il Ttip è emblematico. Al di là dei timori che genera il personaggio, osservando dall’Europa, uno degli aspetti più sconfortanti dell’elezione di Trump è nella conferma di quanto siano state e siano le destre a sapere oggi raccogliere umori e consenso della popolazione. Basti guardare all’entusiasmo incondizionato con il quale il governo italiano si sta spendendo al di là di ogni logica e ragionevolezza proprio per portare avanti il Ttip, mentre sono Trump negli Usa o la Le Pen in Francia che si fanno paladini di un diverso sistema economico e commerciale».

 

Si parte da orizzonti culturali diversi ma si arriva, sembra, alle stesse conclusioni pratiche?  

«Quello di Trump, se non un bluff, è in ogni modo un sistema ideologico in completa antitesi a quello ipotizzato dalle reti e dai movimenti che in questi anni dal basso hanno provato a cambiare le cose. Il paradosso è che la cosiddetta sinistra sia riuscita nel difficile compito di apparire ancora più lontana dalle persone e dalle loro speranze e richieste. Se il pendolo, dal neoliberismo, sta lentamente tornando indietro, è incredibile che siano solo le destre cosiddette “populiste” a rendersene conto e a seguirne l’andamento, a fronte di un cosiddetto centro-sinistra ultimo paladino del neoliberismo e di una sinistra ancora non in grado di trovare e soprattutto comunicare un proprio percorso».

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