Farsi uno con l’altro

C’è un punto dell’arte di amare, che insegna come mettere in pratica il vero amore agli altri. È una formula semplice, di due sole parole: farsi uno. Farsi uno con gli altri significa far propri i loro pesi, i loro pensieri, condividere le loro sofferenze, le loro gioie. Mi son fatto debole con i deboli, mi sono fatto tutto a tutti… per guadagnarne il maggior numero (1 Cor 9,22.19). È questa una parola della Scrittura che va amata in maniera del tutto particolare. Essa infatti ci ricorda il metodo di chi vuole contribuire a realizzare la preghiera di Gesù al Padre: Che tutti siano uno, e cioè: farsi uno con ogni prossimo. Sì, questa è la strada, perché è la stessa percorsa da Dio per manifestarci il suo amore: egli si è fatto uomo come noi, e crocifisso e abbandonato, per mettersi al livello di tutti; si è fatto veramente debole con i deboli. Di fronte ad ogni prossimo dobbiamo saper dimenticare (anche per pochi attimi, se il dovere ci chiama ad altro) tutto quanto facciamo di bello e di grande e di utile ed esser pronti a farci uno con lui del tutto, a farci uno con la misura del saper morire per l’altro. Questa è vita cristiana. Il farsi uno abbraccia tutti gli aspetti della vita ed è la massima espressione dell’amore. Vivendo così si è morti a sé stessi, al proprio io e ad ogni attaccamento spirituale. Si può raggiungere quel nulla di sé cui aspirano le grandi spiritualità e quel vuoto d’amore che si realizza nell’atto di accogliere l’altro. Si dà spazio all’altro, che troverà sempre un posto nel nostro cuore. Farsi uno significa mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, perché si ha da imparare realmente. La pratica di farsi uno con gli altri non è una cosa semplice. Essa richiede il vuoto completo di noi: togliere dalla nostra testa le idee, dal cuore gli affetti, dalla volontà ogni cosa, far tacere persino le ispirazioni, perdere Dio in sé per Dio presente nel fratello per immedesimarci con gli altri. Quando, nei primi tempi del movimento, parlavo con qualche persona che desiderava confidarsi con me, mi esercitavo a lungo – dato che sarebbe venuta subito una certa qual risposta -, a spostare le mie idee, finché lei avesse potuto svuotare in me la piena del suo cuore. E, così facendo, ero convinta che alla fine lo Spirito Santo mi avrebbe suggerito proprio quello che dovevo dire. Perché? Perché dato che, facendo il vuoto, io amavo, egli si manifestava. E ho avuto la prova migliaia di volte che, se avessi interrotto il discorso a metà, avrei detto qualcosa di non giusto, di non illuminato, di semplicemente umano.Mentre, lasciando per amore che l’interlocutore facesse entrare in me le sue ansie, i suoi dolori, permettendo che egli scaricasse su di me il suo fardello, trovavo la risposta che risolveva ogni cosa o mi venivano le idee per aiutarlo. Farsi uno, vivere l’altro, partecipare totalmente. E farsi uno non a parole o con i sentimenti soltanto. Il farsi uno cristiano significa rimboccarsi le maniche, significa agire: opere, opere, fare, fare. Gesù ha dimostrato cos’è l’amore quando ha sanato gli ammalati, ha risuscitato i morti, quando ha lavato i piedi ai discepoli. Fatti, fatti: questo è amare. (Da: L’arte di amare, Città Nuova Ed.)

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