Falcone e Borsellino attraverso i film

Uno straordinario strumento per fare memoria e rendere sempre presente una lezione di grande umanità, senza distogliere lo sguardo dalle troppe contraddizioni del nostro Paese    
AP Photo/Antonio Calanni

Ogni 19 luglio, ormai da 27 anni, viviamo lo smarrimento e la paura; ma ci viene anche offerta una grande lezione. Questi sentimenti in lotta, questi stati d’animo contrastanti ce li riporta a galla ogni anno, dal 1992 ad oggi, l’anniversario della morte del giudice Paolo Borsellino.

Da una parte ci viene ribadito quando il male sia forte e difficile da sconfiggere, quanto sia radicato, diffuso e pronto a tutto; dall’altro, però, ci dà speranza il fatto che uomini appassionati di bene, schierati fino alla morte per difenderlo e proteggere il prossimo, nascano ed esistano.

E quindi l’uomo è anche questo, è esaltazione dell’umanità, e guai a smettere di crederlo. Per capire meglio chi sia stato Paolo Borsellino, e ovviamente insieme a lui chi sia stato Giovanni Falcone, violentemente ucciso cinquantasette giorni prima del collega, il 23 maggio dello stesso anno, appunto il 1992, ci aiuta, come spesso accade, il cinema.

Insegna ai giovani che allora non c’erano, prima di tutto, ma dà una mano anche ai grandi la cui memoria di ferro non é mai. I film su Falcone e Borsellino ci sono, a partire da quello di Giuseppe Ferrara del 1993, Giovanni Falcone, e con il tempo se ne aggiungono altri, e i più recenti, forse più dei primi, sanno raccontare bene, meglio, congiuntamente la morte e l’eterna rinascita della speranza, grazie all’esempio di questi due grandi combattenti.

Partiamo da uno del 2016: Era d’estate di Fiorella Infascelli, che racconta un periodo circoscritto della vita di Falcone e Borsellino: l’estate, appunto, in cui per motivi di sicurezza, dopo aver ricevuto minacce di morte per loro e le loro famiglie, Giovanni e Paolo (interpretati da Massimo Popolizio e Beppe Fiorello) furono in fretta e furia, forzatamente, in elicottero, trasferiti sull’isola dell’Asinara, in Sardegna.

Era il 1985, poco prima dello storico maxi processo in cui i due uomini di legge riuscirono a dimostrare per la prima volta che la mafia esiste. I carabinieri dell’Ucciardone intercettarono una minaccia di morte e poco dopo giunse anche la notizia dell’arrivo a Palermo del tritolo, forse destinato proprio a loro. È un film semplice, Era d’estate, lineare, asciutto, che mette a contrasto la potente bellezza del luogo con gli stati d’animo sofferenti dei protagonisti e dei loro cari, costretti, tutti quanti, ad abbandonare ogni conforto quotidiano per ritrovarsi in una foresteria in mezzo al nulla.

Eppure quella, ci racconta il bel film della Infascelli, fu l’occasione per recuperare un po’ di tempo in famiglia, per parlare di più e passare più tempo insieme. Il racconto intimo dei due personaggi si completa con la descrizione dei loro caratteri, con i loro scambi di vedute – a volte molto decisi – e col loro modo di fare.

Le freddure di Falcone, qualche nuotata, un bacio alle moglie, la tenerezza e la passione di Borsellino per i suoi tre figli, e poi il lavoro, appassionato, incessante, urgente, dominante, divorante, per amore della propria terra, della giustizia, per la difesa dell’invisibile, comune, onesto e fragile cittadino.

Trapela anche la solitudine dei due magistrati, quel rapporto controverso, quella simbiosi mancata con lo Stato, con la politica. Una debolezza delle istituzioni, qui solo accennata, che più tardi non avrebbe impedito le stragi mafiose e inaccettabili di Capaci e Via D’Amelio.

E qui viene in mente un altro buon film recente che omaggia prima Falcone e poi Borsellino: La mafia uccide solo d’estate di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, del 2013. La pellicola racconta con gli occhi di un bambino, Arturo, più di trent’anni di mafia a Palermo e torna sulla morte di Falcone, di sua moglie e della sua scorta, e sull’attentato che distrusse la vita di Paolo Borsellino e degli agenti di polizia che cercavano di proteggerlo.

Dopo l’orrore, il film mostra i cittadini che durante il funerale della scorta del giudice, il 23 luglio del 1992, ormai più coscienti di cosa la mafia sia capace di fare, scendono in piazza e protestano perché non vogliono farli entrare in chiesa, e perché non credono più nello Stato.

Anche il protagonista Arturo, ormai, adulto, prende parte alla manifestazione spontanea e finalmente, in un momento così drammatico, riesce per la prima volta, commosso, a dare un bacio alla donna che ama fin da bambino: Flora. Anche in questo film la speranza muore e poi rinasce in quei frammenti di repertorio di gente comune, e nelle fotografie e nelle targhe di altri che come Borsellino e Falcone hanno combattuto fino all’estremo sacrifico per offrire futuro al Paese e non solo.

Di speranza se ne avverte poca, invece, vedendo la docufiction La trattativa di Sabina Guzzanti, del 2014. Si vive, anzi, un senso di profonda inquietudine nella ricostruzione – esplicitamente realizzata da persone dello spettacolo impegnate in un progetto di impegno civile – che indaga sui rapporti torbidi tra Stato e mafia dal ’92 al’ 94.

Anche in questo complesso lavoro, tuttavia, le figure di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone emergono con una bellezza limpida e brillante, con una forza che è sempre legata a una gigantesca umanità. Sono loro, in mezzo ad un paesaggio fosco e spaventoso, con la loro assoluta verità, con il loro coraggio, la loro intelligenza e la loro ammirevole, rara ostinazione, a ridare forza ancora una volta allo spettatore.

Speriamo che il cinema non li lasci mai soli, speriamo che continui a raccontarceli come ha iniziato a fare dal 1993, dal film di Giuseppe Ferrara, e come ha fatto pochi mesi fa con Il traditore Di Marco Bellocchio, che attraverso la figura di Tommaso Buscetta torna sull’importanza del maxi processo del 1986. Speriamo che il cinema entri sempre di più nelle verità e che sappia essere all’altezza di questi preziosi uomini che abbiamo avuto in dono e che non siamo stati in grado di difendere e proteggere.

 

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