Essere fratelli

 I fratelli Sisters per la regia del francese  di Jacques Audiard è un western atipico tratto dall'omonimo romanzo del canadese Patrick DeWitt ambientato nell'Oregon nel 1850. Al Festival di Venezia ha vinto il Leone d'argento per la regia. Un grande film.

Un western atipico è questo firmato dalla regia accorta di Jacques Audiard, francese approdato ad Hollywood con I Fratelli Sisters. Già il titolo  “I fratelli Sorelle” è interessante. Audiard infatti non si fa incatenare dai meccanismi americani, li stravolge dalle solite regole dei duri e violenti e basta, per tracciare il ritratto di due fratelli: il giovane Charlie (Joaquin Phoenix), violento, ubriacone, ma molto fragile, e il maggiore, Eli (John C. Reilly), più maturo, delicato anche, con quel foulard che si porta addosso giorno e notte, segno di un antico e mai dimenticato amore. I due fanno un lavoro sporco: uccidono su commissione. E non sbagliano mai. Sono alla caccia di un cercatore d’oro (Riz Ahmed) idealista, su incarico del Commodoro, per eliminarlo.  Inizia così l’inseguimento dall’Oregon alla California, tra deserti boschi nevi e piogge, taverne rissose e individui irrequieti come l’investigatore John Morris (Jake Gyllenhaal). La caccia diventa per i fratelli un viaggio di formazione, di cambiamento. I due si trovano a mettere in discussione le loro fragili certezze, nascoste sotto la scorza degli spietati del West. Li costringono a riflettere sulla vita, di più il maggiore, che  fa quasi da padre e madre al minore, più istintivo e che paga i suoi impulsi di persona.

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Altro che gli uomini selvatici. I quattro – cioè i fratelli, il cercatore e il poliziotto – non si uccidono, solidarizzano. Non diventeranno amici, ma scoprono che anche tra gente dura ci può essere qualcosa che fa da collante, in qualche modo, cioè l’essere uomini, tutti uguali in fondo. Ed anche se la morte , inevitabile nel genere, li separa, una qualche fraternità è possibile. E anche la pace:  i due fratelli infatti, feriti nell’anima e nel corpo, ritornano a casa, dalla madre che certo non li aspetta. Anche lei, come le donne del West, è una dura. Fino ad un certo punto.

Il paragone con la società contemporanea  è evidente, filtrato attraverso il viaggio nel mitico West degli stereotipi che Audiard manda in aria. Nel nostro mondo di rapporti confusi e incerti, si ha paura del sentimento di fratellanza e di sorellanza. I due fratelli Sisters scoprono  in modo rude e senza sentimentalismi inutili la verità e il senso dell’essere fratelli e insieme la possibilità di un rapporto solidale con le altre persone che incontrano, non necessariamente ostili.

Condotto con rigore, con risvolti anche divertenti, recitato magnificamente dal quartetto di solisti, il film, se da una parte omaggia i grandi classici, dall’altra svela la sua tematica originale: gli uomini non sanno solo uccidere e odiare, ma anche piangere, dubitare, solidarizzare e tornare a casa. La saga western propone una umanità diversa da quella che i film del genere ci hanno raccontato: non solo grilletti facili, ma umanità vera, fragile e forte. Alla fine, anche oggi, la felicità più che nei soldi dei nuovi Commodori sta forse nel saper tornare a casa, magari all’amore e a scoprirsi fratelli.

Ecco il trailer

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