Economia cercasi ricetta

Cercansi certezze. E qualche valida ricetta. La crisi internazionale ha raggiunto il livello più basso?, si è chiesto Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, a margine dell’incontro dei ministri dell’economia degli otto Paesi più industrializzati, svoltosi a metà giugno ad Osaka, in Giappone. La risposta è stata deprimente: Sono ottimista, ma la verità è che non lo sappiamo. Quello che è certo è solo un dato: Restiamo sul filo del rasoio e non possiamo abbassare la guardia, perché le cose potrebbero anche peggiorare . Splendido! La maggioranza delle famiglie italiane non può che gioire, soprattutto quelle che – ed il loro numero è purtroppo in costante aumento – hanno già seri problemi nella quarta settimana del mese. Eppure, noi italiani avevamo tirato un sospiro di sollievo quando a fine maggio era stato comunicato che i dati economici del primo trimestre 2008 erano migliori delle previsioni. Dietro l’annuncio c’era però una sorta di beffa: miglioramento, sì, ma dallo 0,4 allo 0,5 per cento. Insomma, roba da prefissi telefonici, con in più la previsione di una crescita annuale attorno allo 0,3, una nullità rispetto alle locomotive di Germania e Francia, che, con tassi di crescita rispettivamente del 2,6 e del 2,2 per cento sembrano ormai fuori dalla crisi. Meno male che le esportazioni italiane tirano ancora. Le richieste arrivano soprattutto dai Paesi produttori di greggio e gas: le vendite delle nostre imprese verso i titolari dell’oro nero sono salite del 36,5 per cento rispetto allo scorso anno, quelle verso la Russia del 42. Restiamo tuttavia gravati dalla bolletta petrolifera: per spostarci, illuminare case e strade, riscaldare l’acqua, rinfrescare uffici e negozi, trasferiamo all’estero 177 milioni di euro ogni giorno. Evviva le esportazioni! Ma per quanto ancora? Domanda più che legittima, se prestiamo fede ai risultati di questo periodo: il settore produttivo più dinamico è l’agricoltura con un generoso balzo in avanti del 6,9 per cento, mentre arrancano industria (+0,6) e servizi (+0,2). Se a questi dati aggiungiamo il calo degli investimenti, la crescita della disoccupazione (tornata a salire sino all’attuale 7,1 per cento) e l’incremento dei prezzi superiore a quello di salari e stipendi, è facile arrivare alle conclusioni degli analisti: La crisi dell’economia italiana si protrarrà anche nella seconda metà del l’anno . Un 2008 indimenticabile per molti cittadini, per troppi, che si aggiunge ad una serie di annate non propri esaltanti. Sul piano economico – ci fa sapere il Rapporto annuale sul Paese, elaborato dall’Istituto centrale di statistica e diffuso in giugno – il 2001 è l’ultimo anno in cui una netta maggioranza di italiani si è dichiarata soddisfatta della sua situazione economica. Da allora una soddisfazione in declino, anche se tante famiglie hanno cercato di esorcizzare la crisi in modo maldestro, ricorrendo ai mutui e al credito al consumo. La musica, comunque, sta cambiando, e l’indebitamento, pur in espansione, s’è ridotto nei tassi di crescita: nel 2004 fu del 15,4, nel 2007 dell’8,7. Quel che resta vero in questo quadro interno e internazionale tutt’altro che esaltante è un effetto posto in luce dall’economista Luigi Campiglio. Riguardo a chi continuerà a farcela, spiega che il tipo di famiglia in cui il rischio economico è minore è quello della famiglia senza figli, in cui entrambi i coniugi lavorano. Dunque, starà bene chi avrà due redditi e nessun figlio. Ma zero bebé significa niente futuro per quella coppia e per il Bel Paese. La situazione è così insostenibile che cresce la consapevolezza dell’emergenza. Non sono più solo i cattolici ad essere preoccupati della denatalità. Persino Piero Angela ha iniziato a parlarne come un fenomeno di assoluta novità. Benvenuto! Fanno sperare alcuni segni forti giunti, al riguardo, anche dalla neo-presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, prima donna al vertice della potente organizzazione, che ha indicato come obiettivi strategici: più donne occupate, meno culle vuote, meno bambini poveri. Sono le questioni centrali del Paese. Se affrontate seriamente, non potranno non produrre effetti positivi sull’economia dell’Italia e sulla fiducia della gente. L’ECONOMISTA PIER LUIGI PORTA Mancano idee nuove Stiamo vivendo una specie di replica della prima crisi petrolifera, quella del 1973, nel senso che si va verso un regime di inflazione senza sviluppo economico, esordisce Pier Luigi Porta, direttore del dipartimento di Economia politica dell’università Milano Bicocca. Incrementi del greggio e delle risorse alimentari, tracollo del credito e del mercato immobiliare Usa. Sembra proprio che l’Eu- ropa possa far poco e l’Italia ancora meno. È così? È così. Le previsioni indicano una riduzione del reddito per i Paesi industrializzati, ma anche per quelli che si stanno sviluppando. Il clima d’incertezza è determinato dalla crisi finanziaria non ancora risolta e dal vistoso aumento dei prezzi delle materie prime. In questo contesto, l’Europa si gloria del suo euro forte, però non può nascondere che sul piano della politica internazionale non riesce ad avere una voce univoca. E questo è un fattore di instabilità che si ripercuote sull’economia. Si concorda sulle analisi, ma non ci sono ricette condivise. Siamo in una condizione d’impotenza? La politica che viene attuata è tendenzialmente una politica monetaria. In America, è molto permissiva, mentre in Europa si è più guardinghi, soprattutto per i timori di un’inflazione che sta salendo. Le politiche di incremento della spesa pubblica per cercare di mobilitare le risorse reali dei Paesi non vengono considerate da nessuno per il timore di un aumento dei disavanzi e quindi dei debiti pubblici. Il governo italiano ha varato un programma triennale, ma dopo il bel gesto del condono dell’Ici sta attuando una stretta piuttosto violenta sui trasferimenti agli enti locali che significherà meno stato sociale meno servizi. Né all’estero, né in Italia ci sono valide ricette e non si vedono idee nuove. I ministri dell’economia del G8 hanno finalmente parlato esplicitamente di speculazione finanziaria. Improvvisamente coraggiosi? Credo abbiano voluto dare un segnale di allerta nei confronti di tutti gli operatori finanziari affinché adottino atteggiamenti più prudenti. Provvedimenti sono stati presi, ma c’è ancora da fare. La liberalizzazione finanziaria ha creato comportamenti criminosi, spacciati per novità di ingegneria finanziaria, che sono stati avallati dalle stesse banche centrali. Ora tutti fanno i moralizzatori, ma non è pensabile che si sia potuti arrivare a tali gigantesche operazioni senza che nessuno abbia avuto responsabilità. Dati e valutazioni indicano che la crisi economica italiana si protrarrà per tutto il 2008. Concorda? Le stime sono al ribasso. Malgrado l’euro forte, la bolletta energetica pesa abbastanza. E penso proprio che l’aspetto energetico sia quello che conta. Adesso il governo è orientato per la ripresa del nucleare. Prima no, ora sì. Andiamo ad ondate, e questo non aiuta. Gli interessi costituiti hanno impoverito il Paese, ha tuonato il governatore Draghi. Come smantellarli? È il tema delle riforme. Draghi e molti economisti vedono la soluzione nelle privatizzazioni: dei servizi pubblici, delle aziende pubbliche, delle municipalizzate. C’è la necessità di uno svecchiamento di tante strutture, anche scuola e università. Pensiamo solo alle modalità dei concorsi. È una corrente di pensiero al momento prevalente, ma non va dimenticato che la privatizzazione non è una ricetta magica. Può svincolare da lacci che frenano la crescita ma non occorre esagerare, perché la realtà è più complessa di quello che prospetta la soluzione della privatizzazione. SE MANGIASSIMO TELEFONINI Se ci alimentassimo a telefonini e le auto andassero a medicinali, saremmo a posto. Cellulari, servizi telefonici e prodotti farmaceutici sono infatti le sole voci in calo nella graduatoria dei prezzi. Tutto il resto, ahinoi!, sale. Anzi, schizza. Tanto che l’inflazione è arrivata in maggio al 3,6 per cento, un livello che non si registrava da 12 anni. E non è tutto: se calcolata sulle spese effettive di tutti i giorni – quelle che fanno la stragrande maggioranza della famiglie -, il dato balza al 5,4. Un valore, questo, ancora sottostimato, protestano i consumatori, secondo i quali l’indice reale del caro vita è attorno al 7 per cento. Il crescente costo della vita è dovuto, riferiscono costantemente tg e quotidiani, all’incremento continuo dei prezzi del petrolio e dei prodotti alimentari. Eppure, i prezzi delle materie prime alimentari sono in ribasso da oltre due mesi. Parola di Coldiretti, che ha spiegato, con precisi dati, come stiano andando (male) le cose. In maggio, sono state registrate nuove impennate, ad esempio, del prezzo della pasta e del pane, mentre il prezzo dei cereali all’ingrosso è sceso in maggio del 5,6 per cento, dopo la flessione del 2,8 in aprile. In discesa anche frumento duro (- 13,9) e granoturco (-1,4), ma nessun beneficio per i consumatori finali. Anzi. Il prezzo della frutta alla produzione è calato del 7,8, ma al dettaglio è salita del 6,9 per cento; gli ortaggi, da -6 nel campo a +2,9 sugli scaffali.

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