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Dolore e speranza in Israele

di Bruno Cantamessa

- Fonte: Città Nuova

Bruno Cantamessa Autore Citta Nuova

Yarden Bibas ha chiesto scusa ai suoi cari per non essere riuscito a proteggerli. Herzl Halevi, il capo dell’esercito israeliano, si è dimesso e ha chiesto scusa per non essere riuscito a proteggere i suoi concittadini. E il governo israeliano? Che speranza ci può essere accusando il mondo di essere antisemita?

Palloncini arancioni volano durante una cerimonia per celebrare il primo compleanno del bambino israeliano Kfir Bibas, tenuto in ostaggio da Hamas a Gaza, fuori dalla base militare di Kirya a Tel Aviv, Israele, il 18 gennaio 2024. I partecipanti chiedevano il rilascio immediato di tutti gli ostaggi. La famiglia Bibas, la madre Shiri Bibas, suo marito Yarden Bibas insieme ai loro figli Kfir, che ha compiuto un anno, e il bambino Ariel di 4 anni, erano stati rapiti da Hamas dalla loro casa nel Kibbutz Nir Oz durante gli attacchi del 7 ottobre 2023. Ansa EPA/ABIR SULTAN

I funerali di Shiri Bibas e dei suoi due bambini, Ariel e Kfir, si sono svolti martedì 25 febbraio in forma privata a Rishon Le Zion, a sud di Tel Aviv. Centinaia di migliaia di israeliani si sono assiepati lungo le strade in segno di solidarietà e partecipazione. Yarden Bibas, padre dei bambini e marito di Shiri, e l’unico della famiglia ad essere sopravvissuto, ha chiesto scusa ai suoi cari, uccisi a Gaza mentre erano ostaggi di Hamas, per non essere riuscito a proteggerli.

Ma c’è un’altra persona in Israele che a fine gennaio, dopo l’inizio della tregua, ha chiesto scusa per quella che ritiene una sua grave mancanza: si tratta del tenente generale Herzl Halevi (59 anni), da gennaio 2023 capo di Stato maggiore generale delle Idf (l’esercito israeliano), che il 7 ottobre 2023 non è riuscito ad evitare il massacro delle 1.200 persone e il rapimento dei 250 ostaggi, da parte di Hamas, in quello che è stato descritto come il più grande fallimento nella storia dell’intelligence e dell’esercito israeliani: «Tsahal [Idf] sotto il mio comando – ha scritto Halevi – ha fallito nella missione di proteggere i cittadini. Questa disfatta mi accompagnerà ogni giorno, ogni ora e sarà così per il resto della mia vita». Halevi ha aggiunto alla dichiarazione le sue dimissioni da capo di Stato maggiore (a partire dal 6 marzo 2025) e la richiesta di pensionamento anticipato.

Con Halevi ha lasciato l’esercito anche il generale Yaron Finkelman, a capo del comando sud che ha condotto fin dall’inizio l’invasione della Striscia di Gaza: «Guidato dalla mia bussola morale e dai valori che mi guidano – ha scritto Finkelman –, ho deciso di lasciare il mio ruolo di ufficiale comandante del comando sud e di terminare il mio servizio nell’Idf. Il 7 ottobre ho fallito nel difendere il Negev occidentale e i suoi amati ed eroici residenti. Questo fallimento rimarrà impresso in me per il resto della mia vita».

Hanno espresso solidarietà con Halevi anche i generali Amir Baram (il vice di Halevi), Eyal Zamir e Tamir Yadai. Nonostante ciò, dopo quasi un mese di consultazioni, a metà febbraio proprio Baram, Zamir e Yadai sono stati indicati dal Ministro della Difesa, Israel Katz, come potenziali successori di Halevi nel ruolo di capo di Stato maggiore generale.

Chi non ha finora chiesto scusa a nessuno è il premier Netanyahu: non l’ha chiesto ai connazionali per gli errori commessi e per il ritardo nell’intervento di soccorso dopo l’attacco di Hamas; ai familiari degli ostaggi e alle loro vittime; neppure ai civili palestinesi per i lutti e le condizioni in cui sono costretti a vivere. L’impressione è che finora il premier israeliano sia stato troppo impegnato nella “vendetta” e nel perseguire la sua politica di annessione ad ogni costo. Politica del governo nazional-religioso che non sembra conoscere altro modo per esorcizzare la paura e sostenere le proprie convinzioni, che quello di vedere ovunque nemici da attaccare.

Un esempio di questo atteggiamento è l’uso della categoria di “antisemita” che Netanyahu e soci continuano ad estendere e ad imporre all’interno e all’esterno.

Non si tratta di assolvere l’antisemitismo, né quello di destra né quello di sinistra, che resta odioso e inaccettabile. Ma è insopportabile la continua accusa di antisemita attribuita a chiunque (persona, gruppo, Stato o fede) si permetta di dissentire sulle guerre e le scelte politiche del governo israeliano.

La Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo del 2021 (firmata da 200 autorevoli esperti) è nata proprio per fornire una guida chiara e adatta a identificare e combattere l’antisemitismo proteggendo la libertà di espressione. La Dichiarazione del 2021 parla di discriminazione, pregiudizio, ostilità e violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche). Non di scelte politiche, vendette, guerre e persecuzioni del governo.

Prima o poi questa mattanza dovrà pur finire e un qualche governo israeliano dovrà trattare, se non con Hamas, certamente con una qualche leadership palestinese. E i palestinesi dovranno in qualche modo dialogare con chi ha distrutto le loro case e le loro famiglie e li vuole esiliare per sempre. Per trattare e dialogare occorre metabolizzare l’odio e governare insieme la paura: sarà durissimo per entrambe le parti. Ma non ci sono altre strade. Perché odio e paura si possono forse affrontare e superare insieme, ma non credo che si possano eliminare.

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