I funerali di Shiri Bibas e dei suoi due bambini, Ariel e Kfir, si sono svolti martedì 25 febbraio in forma privata a Rishon Le Zion, a sud di Tel Aviv. Centinaia di migliaia di israeliani si sono assiepati lungo le strade in segno di solidarietà e partecipazione. Yarden Bibas, padre dei bambini e marito di Shiri, e l’unico della famiglia ad essere sopravvissuto, ha chiesto scusa ai suoi cari, uccisi a Gaza mentre erano ostaggi di Hamas, per non essere riuscito a proteggerli.
Ma c’è un’altra persona in Israele che a fine gennaio, dopo l’inizio della tregua, ha chiesto scusa per quella che ritiene una sua grave mancanza: si tratta del tenente generale Herzl Halevi (59 anni), da gennaio 2023 capo di Stato maggiore generale delle Idf (l’esercito israeliano), che il 7 ottobre 2023 non è riuscito ad evitare il massacro delle 1.200 persone e il rapimento dei 250 ostaggi, da parte di Hamas, in quello che è stato descritto come il più grande fallimento nella storia dell’intelligence e dell’esercito israeliani: «Tsahal [Idf] sotto il mio comando – ha scritto Halevi – ha fallito nella missione di proteggere i cittadini. Questa disfatta mi accompagnerà ogni giorno, ogni ora e sarà così per il resto della mia vita». Halevi ha aggiunto alla dichiarazione le sue dimissioni da capo di Stato maggiore (a partire dal 6 marzo 2025) e la richiesta di pensionamento anticipato.
Con Halevi ha lasciato l’esercito anche il generale Yaron Finkelman, a capo del comando sud che ha condotto fin dall’inizio l’invasione della Striscia di Gaza: «Guidato dalla mia bussola morale e dai valori che mi guidano – ha scritto Finkelman –, ho deciso di lasciare il mio ruolo di ufficiale comandante del comando sud e di terminare il mio servizio nell’Idf. Il 7 ottobre ho fallito nel difendere il Negev occidentale e i suoi amati ed eroici residenti. Questo fallimento rimarrà impresso in me per il resto della mia vita».
Hanno espresso solidarietà con Halevi anche i generali Amir Baram (il vice di Halevi), Eyal Zamir e Tamir Yadai. Nonostante ciò, dopo quasi un mese di consultazioni, a metà febbraio proprio Baram, Zamir e Yadai sono stati indicati dal Ministro della Difesa, Israel Katz, come potenziali successori di Halevi nel ruolo di capo di Stato maggiore generale.
Chi non ha finora chiesto scusa a nessuno è il premier Netanyahu: non l’ha chiesto ai connazionali per gli errori commessi e per il ritardo nell’intervento di soccorso dopo l’attacco di Hamas; ai familiari degli ostaggi e alle loro vittime; neppure ai civili palestinesi per i lutti e le condizioni in cui sono costretti a vivere. L’impressione è che finora il premier israeliano sia stato troppo impegnato nella “vendetta” e nel perseguire la sua politica di annessione ad ogni costo. Politica del governo nazional-religioso che non sembra conoscere altro modo per esorcizzare la paura e sostenere le proprie convinzioni, che quello di vedere ovunque nemici da attaccare.
Un esempio di questo atteggiamento è l’uso della categoria di “antisemita” che Netanyahu e soci continuano ad estendere e ad imporre all’interno e all’esterno.
Non si tratta di assolvere l’antisemitismo, né quello di destra né quello di sinistra, che resta odioso e inaccettabile. Ma è insopportabile la continua accusa di antisemita attribuita a chiunque (persona, gruppo, Stato o fede) si permetta di dissentire sulle guerre e le scelte politiche del governo israeliano.
La Dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo del 2021 (firmata da 200 autorevoli esperti) è nata proprio per fornire una guida chiara e adatta a identificare e combattere l’antisemitismo proteggendo la libertà di espressione. La Dichiarazione del 2021 parla di discriminazione, pregiudizio, ostilità e violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche). Non di scelte politiche, vendette, guerre e persecuzioni del governo.
Prima o poi questa mattanza dovrà pur finire e un qualche governo israeliano dovrà trattare, se non con Hamas, certamente con una qualche leadership palestinese. E i palestinesi dovranno in qualche modo dialogare con chi ha distrutto le loro case e le loro famiglie e li vuole esiliare per sempre. Per trattare e dialogare occorre metabolizzare l’odio e governare insieme la paura: sarà durissimo per entrambe le parti. Ma non ci sono altre strade. Perché odio e paura si possono forse affrontare e superare insieme, ma non credo che si possano eliminare.
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