I dilemmi del M5S dopo il voto su Salvini

Segnali di disagio dopo la decisione di votare contro l’autorizzazione a procedere nei confronti del vicepremier leghista

 

Alla fine della giornata di martedì 19 febbraio il più soddisfatto tra tutti è sembrato essere Maurizio Gasparri. Cioè l’esponente di punta di Forza Italia, presidente della giunta per le immunità del Senato che ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere del tribunale di Catania contro il ministro Matteo Salvini per il caso della nave Diciotti. È prevalsa, infatti, una linea garantista da sempre portata avanti dal centro destra.

L’esito della votazione era scontata dopo che i vertici del M5S avevano sciolto la riserva affidandosi al responso interno al movimento gestito dalla piattaforma informatica di “democrazia diretta” denominata “Rousseau” ( 59% dei 52.417 votanti contro autorizzazione a procedere)

Il “Blog delle stelle”, organo ufficiale della formazione politica guidata da Luigi Di Maio, aveva precisato che non si trattava di «decidere se “mandare a processo il ministro dell’Interno” ma di valutare se la decisione di trattenere i migranti qualche giorno a bordo della nave Diciotti è stata presa sulla base di un interesse dello Stato o no».

Nella sostanza, per quel che emerge dal dibattito interno a quello che è attualmente il maggio partito italiano, non viene messa in dubbio la scelta politica di impedire lo sbarco dei migranti come arma di pressione verso i riluttanti partner europei.  Su questo punto si sono espressi in pochi dissidenti come il comandante Gregorio De Falco, senatore ormai espulso dal M5S, che ha votato in giunta per l’autorizzazione a procedere assieme a Pd e Leu.

La questione è prettamente connessa alla legalità formale, coltivata come un tratto distintivo del Movimento fondato da Grillo e Casaleggio e fatta ora rimarcare rumorosamente come incoerente dagli esponenti del Pd in versione movimentista.

Su questo punto si giocherà molto del consenso da mantenere nelle urne, dopo l’arretramento nelle elezioni regionali in Abruzzo, il rebus sardo del 23 febbraio e l’incognita delle europee del 26 maggio. La critica di Marco Travaglio, unica voce della stampa vicina al M5S, è un campanello d’allarme.

Senza travasi all’alleato leghista, si può ipotizzare l’opzione dell’astensione, che rappresenta davvero una sconfitta collettiva se si considera la crescita di partecipazione e di riavvicinamento all’attività politica che il M5S ha rappresentato nell’Italia degli ultimi anni. Una tale novità destabilizzante che ex esponenti della prima ora, come il sindaco di Parma Pizzarotti, hanno fondato nuove formazioni politiche (“Italia in comune”) che sembrano avere un certo seguito.

Dal punto di vista strategico, la convinzione che sembra dominare i capi politici pentastellati è quella di non lasciarsi frenare da cavilli e trappole per concentrarsi nell’attuazione di un programma che, a loro giudizio, rompe diversi equilibri di potere. A partire dal caso della Tav in Val di Susa fino alla copertura di ruoli strategici nel mondo dell’informazione, della finanza e dei gangli decisivi della pubblica amministrazione.

Esistono, tuttavia, motivi di tensione molto elevati che fanno presagire la rottura del patto di governo. A cominciare dall’applicazione dell’autonomia regionale voluta dalle regioni del Nord e considerata, da esperti come il professor Gianfranco Viesti, una vera e propria “secessione dei ricchi” con la rovinosa rottura dell’unità nazionale.

Su troppe questioni il M5S ha dovuto fare un passo indietro perdendo le ragioni del consenso di massa raggiunto. Si pensi alla mancata riconversione ecologica dell’area Ilva di Taranto e il via libera al progetto Tap, sempre in Puglia.

Ora, come spiegato bene nell’articolo di Camilla Mancini su cittanuova.it, si attende, anche se scontato, il voto, palese e a maggioranza assoluta, dell’aula dopo quello della giunta sull’autorizzazione a procedere.

Salvini, da parte sua, appare del tutto sereno nel tour elettorale in Sardegna e capace di presidiare tutti luoghi di attrazione mediatica.

Insomma “il potere logora chi non ce l’ha”. Sembra di cogliere nell’aria il messaggio del realismo amaro lasciato da senatore Giulio Andreotti, al quale è dedicata a Roma una mostra per il centenario dalla nascita.

Il contesto attuale è molto meno stabile degli anni del baricentro democristiano, ma, al momento, non sembra emergere la forza di una opposizione vincente.

 

 

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