Coronavirus: diario dalla zona di massima allerta

Dall’8 marzo l’intera regione Lombardia e 14 provincie del Nord Italia sono soggette al nuovo decreto del Consiglio dei ministri. Il mio racconto dopo essere tornata a casa appena in tempo
Foto Cecilia Fabiano/ La Presse

La decisione era nell’aria da qualche giorno, ma la maggior parte dei residenti in Lombardia era convinta che il decreto del Consiglio dei ministri che sarebbe arrivato a ore avrebbe solamente dichiarato “zona rossa” alcuni dei comuni lombardi maggiormente colpiti dall’epidemia ormai dilagante del Coronavirus. E invece, la sera di sabato 7 marzo, le carte in tavola si sono capovolte del tutto. Prima la fuga di notizie e la diffusione di un decreto non totalmente approvato dal Consiglio dei ministri che presentava delle forti restrizioni per la popolazione. Poi la conseguente reazione di panico da parte degli abitanti delle zone interessate e l’inizio della folle fuga da parte di alcuni al di fuori della Lombardia. Solo a notte fonda è arrivato il decreto definitivo.

Cosa dice il decreto? Nella regione Lombardia e nelle provincie di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia sono da evitare gli spostamenti in entrata e uscita, tranne che per motivate esigenze lavorative e famigliari o il rientro al proprio domicilio. In questi territori sono sospese manifestazioni pubbliche, sportive. I datori di lavoro devono farsi promotori per i loro dipendenti della fruizione di permessi e ferie. Sono chiusi gli impianti sciistici e ogni manifestazione di tipo religioso.

Chiuse tutte le scuole di ogni ordine e grado, dall’asilo nido all’università. Sono sospesi i matrimoni e i funerali e sono chiusi i musei e i luoghi di svago come cinema e teatri. Sospesi i concorsi pubblici. Rimangono aperti, invece, i bar e i ristoranti ma solo dalle ore 6 alle ore 18, con obbligo a carico del gestore di garantire la distanza di un metro tra i clienti e il servizio al tavolo. Nei giorni festivi e prefestivi devono rimanere chiusi le medie e grandi strutture di vendita e i negozi all’interno dei centri commerciali.

Sono sempre aperti, invece, farmacie, parafarmacie, negozi alimentari e supermercati. Chiuse, poi, palestre, centri benessere, piscine e centri sportivi e sospesi tutti gli esami per il conseguimento delle patenti di giuda.

Per tutto il resto del territorio nazionale sono mantenute le linee guida emanate già in precedenza sia dal Ministero della salute che dal Consiglio dei ministri, quindi lavarsi spesso le mani con acqua o detergenti specifici, evitare il più possibile luoghi affollati, prediligere se possibile lo smartworking, evitare strette di mano, abbracci e contatto fisico, mantenendo un metro di distanza con gli altri.

In tutto questo, mi sento molto fortunata. Fino alla mattina di sabato mi trovavo a Roma e sono riuscita a rientrare a casa appena in tempo, qualche ora prima che venisse approvato e applicato il decreto. Avevo la possibilità di fermarmi ancora a Roma, prolungare l’esperienza di tirocinio che stavo facendo, ma non me la sono sentita. Anzi, sentivo dentro di me che dovevo tornare a casa, in provincia di Bergamo. E devo dire che aver dato ascolto al mio istinto questa volta è stato provvidenziale. Non oso immaginare come avrei reagito a questa situazione stando via da casa, a Roma o in qualsiasi altro posto.

Quindi sabato mattina alle dieci sono salita su un treno vuoto e sono rientrata in Lombardia. Sulla mia carrozza abbiamo viaggiato in 4 fino a Firenze e poi solo in 2 fino a Bergamo. Non avevo mai visto un treno ad alta velocità con così pochi passeggeri.

Avrei tanto voluto che fosse stato il mio ragazzo a venirmi a prendere in stazione, ma data la situazione complicata e delicata già da giorni gli avevo espressamente chiesto di stare a casa e che sarebbe venuto a prendermi mio padre. Così è stato. Mi si è stretto il cuore scendendo dal treno perché avrei voluto vedere il suo viso, ma lui non c’era.

La sera, poi, ho rinunciato ad un aperitivo con le amiche. Alcune sono andate lo stesso. Io e un’altra amica no, non ce la siamo sentita. Le istituzioni ci chiedono di attenerci alle regole e così dobbiamo fare. E se avere ancora mia nonna accanto significa rinunciare all’uscita con gli amici allora rinuncio a vederli.

Da domani inizio la mia prima settimana a casa e mai, dico mai, avrei pensato che il mio rientro dopo un mese a Roma sarebbe stato così. Non so cosa ci aspetta, ma è giusto che ognuno si senta parte di quello che sta vivendo il nostro Paese perché è così: ciascuno è responsabile per sé e, in questo caso, per gli altri.

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