Dal papa per parlare della tratta di esseri umani

Nella Giornata di riflessione e preghiera contro la tratta, Francesco ha incontrato 110 persone (tra cui una trentina di vittime) per parlare di questa forma di sfruttamento.

Lunedì 12 febbraio: un giorno che rimarrà indelebile nel cuore di tutti  i partecipanti alla Giornata di riflessione e preghiera contro la tratta, incontrati da papa Francesco in udienza privata. Eravamo 110 (di cui oltre 30 giovani donne e uomini ora al sicuro in strutture protette), impegnati a vari livelli e rap­presentanti anche di tanti che nel mondo soffrono e lottano contro questo orrendo crimine, vera  “piaga nella carne di Cristo”, come il papa l’ha definito.

Dopo una breve, efficace introduzione di suor Gabriella Bottani, coordinatrice della rete Talitha Kum, il discorso si è articolato attraverso risposte ad alcune domande poste da giovani presenti. Papa Francesco le ha seguite solo come traccia, procedendo a braccio, con quella ricchezza di esperienze, di espressioni, di gesti carichi di tenerezza che lo caratterizza.

Un tema poco noto, quello della tratta. Una realtà sommersa, che non si vuole far venire alla luce. Aperta e cruda è la denuncia del papa nei confronti dell’ipocrisia di chi si scandalizza e poi collabora, di chi vede e si gira dall’altra parte, di chi non vuole parlare del problema perché turba le coscienze. Questo pontefice, che mai ha perso un’occasione per denunciare la tratta come crimine contro l’umanità, anche lunedì con un’analisi severa, estremamente lucida, ha tratteggiato un quadro drammatico. Eppure alla fine siamo usciti tutti con un’iniezione di speranza, di coraggio. Con la voglia di combattere, di rischiare.

Nulla di quanto ha detto è caduto nel vuoto. Così l’invito ai giovani ad andare incontro, ad ascoltare le vittime, perché studiare è importante, sì, ma “può essere un problema astratto, ci vuole concretezza”; l’invito a imparare a leggere i segni dei tempi, a trovare la speranza nel Signore “e Lui lo possiamo trovare anche nei migranti”. “Non abbiate paura. Anche di cambiare”, ha affermato il papa.

Emerge in maniera chiara la fiducia di Francesco nei giovani, che si augura possano divenire promotori di iniziative capaci di operare l’apertura all’altro e di rompere il silenzio in cui è immerso questo crimine. La comunicazione potrebbe divenire una possibilità di conoscenza vera, che rifiuti il gioco di “sporcare i migranti” come tante notizie purtroppo fanno; i social networks, così usati dai giovani, possono essere occasione di sensibilizzazione e di incontro, pur nella consapevolezza “dei rischi insiti in alcuni di questi spazi virtuali attraverso i quali si può anche essere adescati.

Il papa nella Aula Paolo VI durante l'udienza coi rappresentanti dell'Economia di Comunione

Poi sottolinea con forza la vergogna della domanda, senza la quale non può esserci offerta. Una vergogna bruciante per i paesi occidentali dove sono i clienti dei vari “servizi” in cui la tratta si articola, offerti su internet, sulla strada o attraverso reti perverse. La cultura dello scarto – ha detto il papa – è alla base dei comportamenti che portano allo sfruttamento degli esseri umani, a tutti i livelli”.  Si scartano bambini, impedendo loro di nascere, disabili, anziani, si scartano i poveri, i piccoli. Il male, continua il papa, comincia col bullismo nelle scuole, l’aggressività che uccide. “Mi chiedo allora – ha aggiunto – sono davvero i trafficanti la causa principale della tratta? Io credo che la causa principale sia l’egoismo senza scrupoli di tante persone ipocrite del nostro mondo. Certo, arrestare i trafficanti è un dovere di giustizia. Ma la vera soluzione è la conversione dei cuori, il taglio della domanda per prosciugare il mercato”.

Non vira mai sul generico il suo discorso. Cita delle storie drammatiche, che conosce di persona, come quella di un giovane eritreo che ha impiegato 3 anni per venire in Italia ed è stato venduto 5 volte o quella della giovane donna nigeriana ingannata da una signora cristiana. I minori sono spesso invisibili. Sono l’ignoranza e la corruzione che permettono ai trafficanti di agire impunemente. E dà indicazioni precise: occorre creare opportunità per lo sviluppo umano integrale. Potenziare l’educazione. Essa infonde coraggio a chi ha conosciuto questo male, spinge a denunciare i traffici, consente di dare messaggi ad altri, vittime di ignoranza, povertà, venduti talvolta dai propri familiari o da falsi amici.

“Educazione e lavoro”, è una ricetta antica, ha voluto sottolineare, “già sperimentata da don Bosco a fine 800”. Forse è per questo che nel momento dei saluti personali, quando ognuno dei presenti ha avuto la possibilità di un breve ma intenso colloquio con lui, ha seguito con particolare interesse l’accenno al progetto del Movimento dei Focolari “Fare sistema oltre l’accoglienza”.

Sempre rispondendo a una domanda, in vista del  Sinodo dei Vescovi di ottobre, dedicato proprio ai giovani, il Papa esprime il desiderio di dare voce, negli incontri presinodali, ai rappresentanti delle periferie e chiede di lanciare un messaggio di mobilitazione globale per costruire una casa comune inclusiva ed accogliente. La Chiesa cattolica – conclude – intende intervenire in ogni fase della tratta degli esseri umani e il Sinodo potrebbe essere anche un’opportunità perché le Chiese locali diventino “una rete di salvezza”…

Non poteva mancare il ricordo di santa Bakita. La giornata di riflessione e preghiera contro la tratta fu da lui istituita 2 anni fa l’8 febbraio, proprio in ricordo di questa  santa “che da bambina fece la drammatica esperienza di essere vittima della tratta… Incoraggio disse in quella circostanza quanti sono impegnati ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati. Auspico che quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuovere le cause di questa vergognosa piaga, una piaga indegna di una società civile. Ognuno di noi si senta impegnato ad essere voce di questi nostri fratelli e sorelle, umiliati nella loro dignità”.

La bambina fu ribattezzata Bakita (che significa Fortunata) dai suoi rapitori con perverso spirito umoristico, dal momento che, per l’atroce trauma subìto, aveva dimenticato perfino il suo nome e portò nel suo corpo 144 cicatrici di ferite che le avevano inflitto dopo essere stata rapita e fatta schiava, quando aveva circa nove anni. Il suo “acquisto”, da parte di un console d’Italia prima e poi da un’altra famiglia, fu per lei l’inizio di una vita diversa. Incontrò rispetto, gentilezza, comprese che la dignità è parte integrante della persona umana e questo le diede pace, gioia e la aiutò a scoprire l’amore a cui anelava da sempre.

Affidata, per varie circostanze sopraggiunte, alle suore Canossiane, incontrò Dio, Dio Amore. Fu per lei come arrivare alla meta di un lungo viaggio. Decise di consacrarsi a Lui e per 50 anni visse testimoniando l’amore attraverso tanti concreti gesti quotidiani. I più piccoli, i sofferenti trovavano in lei tenerezza, speranza, coraggio. Durante gli ultimi  anni della sua vita affrontò con grande fede una grave malattia, ma durante gli ultimi giorni  rivisse con angoscia il tempo della sua schiavitù e più volte supplicò: “per favore, allentatemi le catene, sono pesanti”.

A conclusione dell’udienza papa Francesco si è rivolto a lei con una toccante preghiera.

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