Da quarant’anni in Olanda

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Può sorprendere che un movimento come quello dei Focolari, arrivato in Olanda negli anni Sessanta, abbia avuto un impensabile sviluppo proprio in un periodo critico per la società civile ed ecclesiale di quel paese. Come è stato possibile? Furono alcuni religiosi olandesi ad avere i primi contatti in Italia. Tra loro il premonstratense Werenfried van Straaten, noto come “Padre Lardo”, che nel 1958 partecipò ad una Mariapoli sulle Dolomiti e ottenne che alcuni focolarini e focolarine andassero a Tongerlo, nelle Fiandre, a lavorare all’Aiuto alla chiesa che soffre. Intanto, a Roma, lo studente sacramentino Harrie Verhoeven sentiva parlare dei Focolari da un collega, Huub Wessels. “Al mio primo incontro in un focolare – racconta – avvertii che qualcosa cambiava dentro di me: i pezzi del mosaico della mia vita si componevano. Agli occhi della gente ero sempre stato un bravo religioso. Ma io trovavo la vita del convento molto “isolata”. “E poi Dio non lo si trova tanto nello studio, lui è Amore e lo si può incontrare solo vivendo per gli altri. Con i focolarini sperimentavo quanto fosse vero che “chi non ama non conosce Dio”. “Terminati i miei studi nel 1959, cominciai ad insegnare a Nijmegen; comunicavo l’ideale dell’unità agli studenti a cui talvolta i focolarini di Bruxelles venivano a offrire la loro testimonianza: tra gli altri Eli Folonari e Vitaliano Bulletti”. Sempre nel ’59, a Naarden, Ans Vlaar, una ventenne che sarebbe diventata la prima focolarina olandese, sentì parlare di certe persone che facevano pensare ai primi cristiani. “Io che avevo quasi perso la speranza che gli uomini riuscissero a trattarsi da fratelli, mi dissi: allora quel che cercavo esiste! Finché, mesi dopo, da Lella Sebesti e un’altra compagna, arrivate da Bruxelles su una vecchia Skoda, ascoltai felice della loro vita: era la risposta che attendevo”. In quel periodo, a Nijmegen, Nico Tros, allora studente diciannovenne, ebbe notizia anche lui del movimento, nel gruppo biblico cui partecipava. Focoso propugnatore del rinnovamento della chiesa, era convinto che il miglior modo per realizzarlo fosse l’uso del bisturi della critica. “Delle prime comunità cristiane – racconta Nico – si diceva che “erano un cuor solo ed un’anima sola, e avevano tutto in comune”. Ma dove trovare gente che vivesse così?”. Dovrà attendere il luglio del ’60, allorché venne invitato nel suo gruppo proprio un focolarino, per di più olandese: proprio Huub Wessels, il collega di padre Verhoeven. “Eravamo circa 15 studenti riuniti in una soffitta, ad ascoltarlo. Il padre gesuita che ci guidava l’aveva preparato: “Sono bravi giovani. Uno di loro però è un po’ ribelle (si riferiva a me), ma in fondo è anche lui di una buona pasta”. “Alla fine di quella serata ebbi la netta sensazione che, se Gesù fosse venuto in mezzo a noi, avrebbe parlato proprio come Huub. Quella notte non riuscii a dormire. “Da allora, spesso feci l’autostop per recarmi al focolare di Bruxelles, finché nel ’61 Carmelo Tiritan venne nella mia città. Non trovando alloggio, venne ad abitare nella mia stanza (vedi box). “Mi buttai in questa avventura pieno di entusiasmo. Avevo appena compiuto vent’anni. A volte era difficile arrivare all’unità, essendo di nazionalità e soprattutto di caratteri così diversi, e non mancavano i momenti di buio. “Pian piano in me, che ero abituato a usare molto il raziocinio, entrava una nuova logica, divina, scaturita dall’amore. Forse con la mia crisi vivevo un po’ anche la crisi della mia terra”. Nell’aprile del 1961 Chiara Lubich si trovava in visita a Colonia: un’occasione da non perdere per andarci anche dall’Olanda, con due pullmini Volkswagen strapieni. Così i primi olandesi del movimento ebbero la possibilità di attingere direttamente alla sorgente del carisma dell’unità. Fu un’esperienza indimenticabile. I primi semi erano stati gettati e già nel 1963, a Tilburg, si ritrovavano più di seicento partecipanti per una Mariapoli. Gli anni Sessanta furono un periodo difficile per la Chiesa cattolica in Olanda. Mentre molti non se la sentivano più di continuare la vita religiosa, “il contatto col focolare – afferma il vescovo ausiliare di Haarlem, mons. van Burgsteden, a quel tempo novizio sacramentino – rinforzò enormemente la mia scelta di Dio. Devo alla grazia che mi veniva da Gesù in mezzo la fedeltà al mio primo “sì” nella tempesta che scosse la chiesa e la società olandese”. Quello che sembrava essere un fiore esotico attecchì bene sul terreno olandese. Una vera comunità cresceva in numero ed in profondità. Nel 1971 si aprirono due nuovi centri, ambedue ad Amsterdam. E negli anni Settanta si aggiunsero a questa già numerosa famiglia i primi protestanti. Intanto, sempre più si rendeva necessario un luogo in cui i vari gruppi potessero ritrovarsi. Il progetto si realizzò grazie al cardinal Willebrands, che mise a disposizione a Baak una grande casa con un meraviglioso bosco. Egli desiderava che diventasse un punto d’incontro per cristiani di tutte le chiese. Il Centro Mariapoli di Baak, prima ancora dell’inaugurazione nel 1983, fu visitato da Chiara nella primavera dell’82, in occasione della sua prima e fino ad ora unica tappa in terra olandese. Parlando a 1500 persone ad A m s t e r d a m , aveva accennato fra l’altro ad una “nuova primavera” per gli olandesi. E quale il contributo dei Focolari? “Portare dappertutto l’amore scambievole, il segreto dei primi cristiani. Quali saranno i frutti? Una grande gioia, pace, luce, i doni dello Spirito. Ed ancora: conversioni e vocazioni, perché questo è ciò che Gesù opera quando è presente. È lui che chiama”. Nel 1961, a Colonia, era presente solo un gruppetto di olandesi ad ascoltare per la prima volta Chiara. Nel 1982 ad Amsterdam esso si era più che centuplicato. L’avventura ora va avanti. Ciò che era iniziato come un seme è cresciuto fino a diventare una comunità formata da cristiani di varie chiese e, da alcuni anni, anche da fedeli di altre religioni, soprattutto musulmani. Due pionieri Lella Sebesti e Carmelo Tiritan. Lella aveva 25 anni quando arrivò in Belgio, alla fine degli anni Cinquanta; all’inizio dei Sessanta si trasferì in Olanda. “La mia prima impressione, passata la frontiera, fu di famiglia, come arrivare a casa. Concordia tra la gente, amicizia, contatto sincero e spontaneo. Degli olandesi si dice forse che sono avari, ma solo con sé stessi, non certo con gli altri. Ho sempre sperimentato tanta generosità. “Quando arrivai nei Paesi Bassi, andai a far visita alla Dolce Madre di Den Bosch (uno dei più amati santuari mariani del paese), per chiederle da dove iniziare. E Maria mi fece capire: guarda, gli olandesi sono un popolo intraprendente. O tu dai loro da lavorare, o loro danno a te da fare. Allora pensai: è meglio che io li metta al lavoro per il Regno di Dio. Così organizzammo incontri mensili in una decina di città per quanti desideravano approfondire la spiritualità del movimento”. Era ancora il tempo in cui le chiese erano piene zeppe. Subito dopo il Concilio però, scoppiò la crisi. “C’eradivisione e critica – ricorda Lella -. Ognuno voleva cambiare la chiesa.Tanti valori vennero definiti antiquati e dunque messi da parte. I conventi si svuotavano, i preti lasciavano il loro ministero. Come portare l’unità in quella situazione? Mi ricordai allora che, parlandoci una volta di Maria come la donna che schiaccerà la testa al serpente, Chiara aveva così commentato: “Maria non è andata a cercare dove fosse il serpente, ha dato Gesù al mondo. E Gesù ha vinto il serpente”. “Per me – spiega Lella – questo voleva dire non tanto andare ad analizzare quello che stava succedendo, ma alimentare l’amore scambievole per avere assicurata la presenza di Gesù in mezzo a noi. E lui avrebbe potuto cambiare la situazione”. Carmelo aveva 28 anni quando si stabilì in Olanda. Prima era stato in Belgio. “Da lì – racconta – ci tenevamo in contatto con un folto gruppo di studenti a Nijmegen; tra questi Nico Tros. Nel febbraio 1961 andai ad abitare in quella città. Ottenuto il permesso di soggior- no, trovai lavoro in una fabbrica di scarpe. Essendo impossibile affittare una casa, alloggiai nella stanza di studente di Nico. Avevamo due ritmi di vita molto diversi: io dovevo alzarmi alle sei del mattino per andare al lavoro, Nico studiava fino a notte inoltrata. Con una tenda cercammo di dividere un po’ la stanza… E non avendo a disposizione un fornello, io durante la settimana mangiavo solo panini con un po’ di yoghurt”. In bicicletta con Nico percorreva la città per inc o n t r a r e p e r s o n e , gruppi di studenti… “Le difficoltà certamente non mancavano, ma a dire il vero quelle non le ricordo più.Avvertivo che c’era un piano di Dio che tutto portava avanti e che io vi ero immerso. Alle volte qualcuno mi chiedeva cosa fossi venuto a fare in Olanda. “Noi olandesi – mi ribatté un religioso – abbiamo inviato missionari in tutto il mondo. Abbiamo forse ora bisogno di italiani che vengano a predicarci il vangelo?”. La mia risposta era sempre:”Abbiamo imparato a vivere il cristianesimo in profondità e questo cerco di fare insieme a molti altri. Sono venuto solo per amare””.

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