Costituzione economica e Codice di Camaldoli

È opportuno ripartire dalle idee ricostruttive della democrazia elaborate nel 1943 per affrontare molte delle polemiche attuali sulla sovranità effettiva del nostro Paese in campo economico. Intervista a Michele Dau, curatore della riedizione del documento dei cattolici democratici elaborato nel monastero benedettino di Camaldoli e ispiratore della nostra Costituzione
Roma sotto le bombe luglio 1943

Nel pieno delle tensioni per la formazione del nuovo governo, la scelta di Mattarella di porre il veto sul nome di Savona al dicastero dell’Economia ha suscitato un vivace dibattitto nel merito, anche da parte di esponenti autorevoli, come Valerio Onida, che proviene dalla stessa cultura dell’attuale presidente della Repubblica.

Si sono attizzate, tuttavia, anche accuse di golpe e di sudditanza verso lobby internazionali nei confronti di una persona con una storia lineare di autonomia e impegno per le istituzioni. Questo fatto ci introduce alla solitudine sperimentata, spesso, da quei cattolici democratici che hanno retto l’unità del Paese in momenti tragici della sua storia.

Per recuperare un minimo di memoria storica, che sembra assente anche in chi dovrebbe averla, è opportuno rifarsi a quelle “idee ricostruttive della democrazia” che hanno mosso, ad esempio, quel gruppo di cattolici che, sul finire del fascismo, nell’estate del 1943, elaborarono il programma conosciuto come “codice di Camaldoli” e che ha ispirato la nostra Costituzione. Il documento, che prende il nome dal monastero in provincia di Arezzo che ospitò tale incontro, è stato recentemente ripubblicato a cura di Michele Dau con un’interessante premessa storica e il commento, legato all’attualità, da parte di Fausto Bertinotti, Valerio Castronuovo e Paolo Savona. Un politico di sinistra, un noto storico dell’industria e un economista di formazione repubblicana molto vicino a Guido Carli.

A Dau, dirigente in istituzioni pubbliche italiane e internazionali e a lungo ricercatore al Censis, abbiamo fatto alcune domande per introdurci a tematiche che si riscoprono sempre più attuali.  

Cosa è il Codice di Camaldoli?  

Nei momenti più difficili della nostra storia unitaria i cattolici hanno sempre cercato di ascoltare, di analizzare la realtà, di preparare proposte adatte per cambiare la società, per realizzare più giustizia sociale. Nel 1942-43, quando già si intuiva la rovinosa sconfitta, un gruppo di cattolici – non solo accademici, ma anche professionisti e manager – incoraggiati dal Vaticano dove c’era monsignor Montini ( il futuro Paolo VI), cominciò a preparare un progetto per il bene comune che prenderà il nome di Codice di Camaldoli. Provenivano da diverse esperienze e sensibilità, accomunati dalla passione di offrire un contributo condiviso fondato sulla visione sociale cristiana della società. Non c’era una volontà di egemonia, ma era forte la tensione a esserci, a partecipare, a contare al tavolo della ricostruzione civile e politica.

Si preparavano per una Italia libera e democratica, con uno sforzo di unità fortemente sostenuto dai vertici della Chiesa. Già alla fine dell’800 i cattolici avevano iniziato a essere presenti nei Comuni, nella democrazia locale, con un associazionismo vivace e poi con i popolari di Sturzo. Ora sentivano di dover esser pronti per contribuire alle scelte e alle decisioni più importanti: la nuova Costituzione e la ricostruzione sociale della nazione.

Approfondendo la genesi di tale documento, emerge una figura sconosciuta, anche perché scomparsa proprio nel 1945: Sergio Paronetto, che era dentro l’lri di Beneduce, ma anche promotore di un antifascismo radicale. Ci può dire qualcosa?

La figura di Sergio Paronetto fu centrale negli anni ’30 fino al 1945 quando morì, poche settimane prima che il documento di Camaldoli fosse reso pubblico. Giovane studente di scienze politiche e di economia, si iscrisse alla Fuci dove Montini era assistente. Valtellinese come Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni, appena laureato fu da questi chiamato a lavorare all’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri) dove divenne in breve vicedirettore generale. Attento studioso, fu anche manager moderno e tenace, perciò allenato a coordinare altri uomini. A lui si deve il compimento del Codice di Camaldoli. Conobbe da vicino l’industria e l’economia italiana – massacrata dall’autarchia fascista – e comprese l’importanza del ruolo dello Stato nei settori strategici della vita sociale ed economica. Difese questa visione anche con De Gasperi e gli alleati inizialmente poco convinti.

Il suo netto antifascismo non fu mai ideologico, ma radicato in una visione non violenta della società e, soprattutto nella centralità di ogni persona, contro l’idea dell’”uomo nuovo” fascista sottoposto allo Stato come ente superiore. Paronetto, con Aldo Moro che ne fu il principale interprete, credeva che lo Stato fosse soprattutto uno strumento per il bene comune, al servizio di una politica per l’uomo.

La forza più intima e radicale di questo pensiero era quella di avere il senso dello Stato ma, ancor prima e di più, il senso della politica come bene comune concreto per l’uomo così com’è, con le sue debolezze e fragilità. Una spiritualità laica cristiana profonda che ascoltava la realtà, le persone concrete, e da questo muoveva per una politica umana efficace nella vita della gente. Nessuna ideologia politica o religiosa animava Paronetto, ma solo un senso di fraternità e vicinanza con il popolo comune e con i suoi bisogni reali.

Il richiamo all’Iri rimanda a uno strumento, criticato a suo tempo perché ritenuto fonte di corruzione, ma capace di orientare la politica economica e quella industriale, quella che oggi sembra mancare del tutto. A che serve far politica in queste condizioni ? Ci sono margini per agire?

L’Iri e l’economia mista hanno avuto una funzione fondamentale per la rinascita e la grandiosa crescita italiana nei primi 50 anni del dopoguerra. La Francia è oggi più solida perché non ha abbandonato questo modello. Negli anni ’90 anche noi cattolici abbiamo subito il fascino di una “modernizzazione” liberista mirata a potenziare solo il mercato privato e a ridurre il ruolo dello Stato. Oggi fatichiamo a riprenderci e a crescere anche per questo. È impossibile oggi realizzare le riforme sociali ed economiche delle quali si parla senza adeguati strumenti e apparati pubblici nel mercato del lavoro, nella scuola, nella sanità, nei trasporti collettivi, nella protezione dell’ambiente, nelle comunicazioni, nel sostegno ai più deboli in genere.

Solo l’azione pubblica ben mirata e incisiva può correggere le ingiustizie e le disuguaglianze sociali che il mercato privato produce perché mirato al mero profitto.

Ci vuole una politica autorevole, umile, umana per ricostruire una funzione pubblica efficiente nelle politiche sociali ed economiche. Ci vogliono capacità professionali con grande ispirazione morale. Siamo lontani da questo: ricordo solo che oggi in poche facoltà di economia, pubblica o privata, si insegna etica dell’economia e degli affari. Ai giovani viene impartita una istruzione tecnica priva di spessore morale. Come se la tecnica dovesse prevalere da sola, come una nuova ideologia.

Il cardinal Gualtiero Bassetti invita a superare la dicotomia tra cattolici della vita (attenti a temi bioetici) e quelli del sociale (attenti agli ultimi). Ma anche in materia di visioni di economia e di scelte conseguenti le prospettive sono molto diverse, come testimoniano le forti critiche che riceve lo stesso papa. Come si fa a non essere irrilevanti e marginali se poi alla fine si è così divisi?

Viviamo un tempo assai difficile e, per fortuna, i vertici della Chiesa inviano orientamenti volti ad unificare gli sforzi. I temi dei diritti civili e del soggettivismo individualista hanno diviso e polarizzato anche l’attenzione dei mondo cattolico. Spesso, a mio personale giudizio, anche per responsabilità di pastori che hanno incitato a queste battaglie immaginando di ricavarne risultati di consenso e protezione del potere politico.

Oggi le disuguaglianze e le ingiustizie crescono non solo nei mondi lontani, ma anche in Europa e in Italia. La gente semplice chiede più diritti sociali, più lavoro, più dignità per i giovani e le donne, più sostegni concreti per la natalità e per le famiglie, per le cure mediche, per una vita umana e comunitaria.

Chi guida la Chiesa oggi non smette di dire ogni giorno la verità dei gravi squilibri che dividono il mondo. I laici devono mettere da parte piccole identità e rendite di posizione, e puntare a un bene comune più grande: partecipare a quella ricostruzione morale e sociale della quale il nostro Paese ha enorme bisogno. E questo dentro un’Europa che sia più umana e inclusiva, con un forte senso di fraternità e di cooperazione con gli uomini e le donne più deboli di ogni parte del mondo.

Sulla necessità di rivedere le regole dell’Unione europea si rimanda all’intervista all’economista Leonardo Becchetti.

 

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