Cosa muove la coscienza

Si può agire in senso contrario ai valori in cui si crede o seguendoli. In questi casi, per evitaare di ritrovarsi soli, è necessario condividere con gli altri idee, valori e scopi, rievocando ciclicamente gli obiettivi e gli scopi iniziali del proprio operato.

Qualche mese fa lessi su Città Nuova online un articolo su dove finisce la coscienza, in un’epoca in cui l’impegno civile è da un lato criticato ed ha perso in credibilità e fiducia e dall’altra è fortemente sentito come un bene da difendere. La questione è oggi nuovamente sulle prime pagine per i fatti che vedono indagata la Magistratura italiana. Il tema è profondo e la mia mente corre veloce ai primi anni universitari e ad uno dei corsi dove la passione del professore per la materia che insegnava era così fortemente respirabile da farmi riuscire, dopo più di 20 anni, a ricordare il suono delle sue parole e l’enfasi con cui sminuzzava per noi le basi della odierna psicologia. Era il corso di studi di psicologia generale e si parlava anche di dissonanza e assonanza cognitiva.

La dissonanza cognitiva è quel processo che avviene in ciascuno ogniqualvolta una parte di noi cerca di legittimare il proprio operato, e di trovare le giuste argomentazioni attraverso cui acquisire o mantenere vantaggi e per non “perdere la faccia”, mentre un’altra parte di noi sa che il modo in cui sta operando non è proprio corretto, ma fa di tutto per ignorare la cosa. In questi momenti si attiva una scissione interna all’individuo, generalmente tra coscienza e ragione, necessarie alla sopravvivenza emozionale della persona in una data situazione. Il nuovo comportamento deve apparire tanto vantaggioso da far sentire desuete e prive di valore le altre opzioni, incluse quelle fino ad allora parteggiate.

Un esempio di dissonanza cognitiva nel quotidiano è la storiella della volpe e dell’uva. Per non dover ammettere che non riesce a prendere il grappolo, cosa che in qualche modo lederebbe la sua autostima e le farebbe fare pubblicamente brutta figura, la volpe afferma che l’uva è acerba. E così può andare via indenne, senza alcun apparente senso di minaccia al suo senso di valore. Ma la dissonanza cognitiva è presente anche in tutte quelle situazioni dove occorre giustificare i propri misfatti e costruire logiche convincenti per le proprie scelte ed azioni che dall’opinione pubblica non sarebbero accettate.

Si può scegliere di agire diversamente, in coerenza con ciò che si pensa, si crede e si fa. Questo tipo di comportamento viene definito di assonanza cognitiva. L’assonanza cognitiva è molto più impegnativa da praticare in quanto richiede di avere delle convinzioni ferme e molte capacità personali come la stima di sé, la lungimiranza, la capacità di andare a fondo nelle cose, di stare in dialogo e di rappresentare le proprie posizioni, di non lasciarsi demotivare né spaventare da quelli che sono i “costi”, l’impegno richiesto e gli effetti consequenziali di decisioni che seppur stimate, spesso sono anche contrastate. Ne abbiamo un esempio lampante nella storia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, così come in tante altre figure politiche e non (insegnanti, piccoli imprenditori, sacerdoti, e chissà quanti cosiddetti “vicini della porta accanto”).

È attraverso l’assonanza cognitiva che germinano e si portano avanti scelte coerenti e virtuose, come ad esempio assumere incarichi, rifiutare connivenze, rivedere i propri programmi e idee quando ci si accorge che si è su una falsa strada o viceversa perseverare anche quando si rimane da soli e incompresi. Gli studi sulla dissonanza cognitiva sono stati molto utili in passato per studiare le devianze comportamentali e lo sono anche oggi per comprendere come mai, nonostante il grande bisogno di tornare a credere nella politica attiva, molta gente ne resta fuori, mentre chi ne assume gli impegni, nonostante le buone intenzioni, incontra così tante difficoltà a rimanere in una assonanza cognitiva.

La commedia di Ficarra e Picone “L’ora legale” ne da una divertente, ma per certi versi anche tragica rappresentazione. Difatti se il dissonante cognitivo è colui che ci fa perdere la stima dei rappresentanti delle Istituzioni, colui da contestare, dall’altra parte l’assonante cognitivo finisce quasi sempre per rimanere solo o in una cerchia ristretta, isolato poiché fastidioso per le altrui coscienze.

Se ne deduce che per la formazione, il mantenimento di un agire secondo coscienza, tanto i decantati vantaggi delle trame personali quanto la solitudine e l’isolamento comportano una minaccia. Ciò che invece può sostenere la coscienza è la condivisione di idee, valori e scopi nei gruppi di appartenenza e la rievocazione ciclica degli obiettivi e degli scopi iniziali del proprio mandato.

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