Il valore della memoria di Paolo Borsellino

Per non dimenticare chi ha sacrificato la sua vita per l’antimafia, ricordiamo, alla vigilia dell'anniversario della sua morte, il magistrato palermitano Paolo Borsellino. Insieme al monito di sua figlia Fiammetta che, dopo 25 anni, ha deciso di parlare in diretta pubblica per chiedere la verità sulle stragi del ‘92
Falcone e Borsellino

Ogni anno, per Palermo e la Sicilia tutta, la stessa stretta al cuore. Che parte il 23 maggio fino ad arrivare al 19 luglio, per ricordare le ultime stragi importanti ad opera di Cosa Nostra: quelle cioè dei magistrati palermitani del pool antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. ‹‹Magistrati abilissimi››, ha ricordato recentemente il presidente del Senato, Pietro Grasso: ‹‹Con un talento da fuoriclasse e una tenacia proverbiale: ad ogni sconfitta e amarezza rispondevano con coraggio e orgoglio, rialzandosi sempre. Non hanno mai permesso allo sconforto o alla paura di fermarli, ci sono voluti centinaia di chili di esplosivo per riuscirci››.

La prima esplosione avvenne il 23 maggio sull’autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, a pochi chilometri da Palermo: nell’attentato persero la vita il giudice Falcone con la moglie e tre agenti della scorta. Il 19 luglio il boato si sentì invece in via D’Amelio a Palermo, dove persero la vita il giudice Borsellino con gli uomini della sua scorta. Entrambe le stragi sono avvenute nel ‘92. E la loro eco, insieme al canto delle cicale, è arrivata immediatamente a casa di tutti, coi fotogrammi delle auto blindate distrutte, della palazzina bruciata, dei corpi riversi sull’asfalto. Necrologi scritti da mesi, considerato l’impegno di entrambi i magistrati nei maxi processi e la facilità dei clan mafiosi di colpire i bersagli prescelti (Paolo stesso soleva dire: ‹‹Cammino con la morte attaccata alle suole delle scarpe»). Malgrado ciò, a distanza di 25 anni, è come se fosse ieri: Falcone e Borsellino continuano ad essere celebrati in Italia e nel mondo come esempi di competenza, dedizione, rettitudine, amore viscerale per la legalità e la giustizia; e la ricorrenza della loro morte diventa l’opportunità per acuire il disprezzo verso ogni forma di collusione mafiosa, pizzo, malaffare, disordine morale.

Esiste però una differenza non da poco fra le stragi di Capaci e Via D’Amelio: mentre in quella di Falcone si sono trovati i mandanti (capeggiati dal boss Salvatore Riina), le sentinelle e gli esecutori, per quella di Borsellino si naviga ancora nel buio.

Fiammetta, la minore dei tre figli di Borsellino, a distanza di 25 anni (quando morì il padre lei ne aveva solo 19), in occasione dell’orazione civile “Falcone e Borsellino” avvenuta a fine maggio – nella trasmissione in diretta Rai condotta da Fabio Fazio, Pif e Roberto Saviano – ha deciso di dire la sua, parlando del ‹‹valore della memoria, quel valore necessario per proiettarsi nel futuro con la ricchezza del passato; per dire in maniera netta e precisa da che parte stiamo››.

E ha lanciato un monito: ‹‹Credo che con forza dobbiamo pretendere la restituzione di una verità››. ‹‹Non una verità qualsiasi o mezze verità – ha specificato -, ma una verità che dia un nome e un cognome a quelle menti raffinatissime, come mio padre stesso le ha definite, che con le loro azioni e omissioni direi, hanno voluto eliminare questi due reali servitori dello Stato. Quelle menti raffinatissime che hanno permesso il passare infruttuoso delle ore immediatamente successive all’esplosione; ore che sappiamo essere fondamentali per l’acquisizione di quelle prove necessarie a uno sviluppo positivo delle indagini, quelle prove a cui mio padre e Giovanni tenevano così tanto››.

‹‹Tutto questo per me e per la mia famiglia – ha continuato – non può passare in secondo piano. Come non può passare in secondo piano che, per via di false piste investigative, ci sono uomini imputati per la strage di via d’Amelio, che hanno scontato anni di reclusione senza vedere in faccia i loro figli, esattamente come quei giovani poliziotti che sono morti in via D’Amelio e nella strage di Capaci. Questa restituzione di verità deve essere anche per loro››. ‹‹La verità è l’esatto opposto della menzogna – ha concluso – ed è una cosa che dobbiamo ogni giorno cercare, pretendere e di cui non possiamo ricordarci soltanto nei momenti commemorativi. Solo così guardando in faccia i nostri figli potremmo dire loro di vivere in un Paese libero dal puzzo del potere e dal ricatto mafioso››. Oltre al dolore per la perdita del padre si unisce infatti l’amarezza di vivere in uno Stato che ci mette sì “la faccia” nelle commemorazioni, ma che non ha fatto abbastanza.

Salvatore Borsellino, il fratello minore di Paolo, ha fin dall’inizio parlato – insieme ai membri del “Movimento Agende Rosse” da lui fondato (che prende il nome dal taccuino su cui Paolo Borsellino scriveva appunti personali, supposizioni e dichiarazioni di collaboratori di giustizia e che il giorno dell’agguato è misteriosamente scomparso) – di una ‹‹strage di Stato›› e di‹‹un quarto di secolo di omertà e insabbiamenti››. La morte di Borsellino è sempre stata cioè a suo avviso ‹‹da ricercarsi nell’accordo di non belligeranza stabilito tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra in seguito ad una trattativa fondata sul tritolo delle stragi in Sicilia del 1992 e nel resto del paese del 1993››. Perché, pur avendo Paolo Borsellino chiesto alla questura, già venti giorni prima di morire, di disporre la rimozione degli autoveicoli dalla zona antistante l’abitazione della madre, ciò non avvenne in tempo utile? E proprio lì, sotto il palazzo, fu collocata “la macchina da guerra” che esplose in sua presenza. Era noto a tutti che egli andava infatti a trovare l’amata e anziana madre ogni settimana.

Però ‹‹oggi, all’alba di questa venticinquesima ricorrenza›› ha sentenziato il fratello Salvatore ‹‹e a dispetto di tutte le difficoltà incontrate, possiamo dire che alcuni risultati li abbiamo raggiunti: l’agenda rossa è entrata a far parte dell’immaginario collettivo di questo Paese come il simbolo della richiesta di verità fino a questo momento negata e insabbiata, e non da Cosa Nostra ma da parti deviate dello Stato; Nicola Mancino è stato messo con le spalle al muro ed ha dovuto ammettere la falsità delle sue dichiarazioni riguardo il suo incontro con Paolo il 1 luglio 1992; il processo sulla trattativa Stato-mafia è partito. E, contro ogni previsione, è arrivato anche l’ultimo e meraviglioso successo: la sentenza del processo sulla strage di Via D’Amelio ha confermato, per la prima volta in venticinque anni, l’esistenza di un depistaggio. Un primo, grande passo verso la verità e la giustizia››.

Chi volesse approfondire il percorso professionale e di vita, e sapere di più dell’umanità, del calore e della fede che hanno accompagnato i giudici Falcone e Borsellino fino all’ultimo istante della loro vita, consigliamo due libri usciti di recente per la San Paolo: “Giovanni Falcone. Le idee restano” di Maria Falcone e Monica Mondo (pp. 141, 15 euro) e “Paolo Borsellino. L’uomo giusto” di Alessandra Turrisi (pp. 118, 15 euro).

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