Coronavirus e opportunismo peloso

Il mondo politico globalizzato s’è ormai lanciato nella corsa per trarre beneficio dal coronavirus che nel frattempo, lentamente, si sposta sul planisfero. Spettacolo talvolta indecoroso dopo tante sofferenze

Osservando il mondo politico internazionale, si può facilmente osservare la crescita di un fenomeno atteso e inevitabile, ma comunque imbarazzante: dopo 3-4 mesi di coronavirus, i maggiori esponenti politici di ogni Paese stanno cercando il riposizionamento giusto, cioè si interrogano su come trarre beneficio per la loro carriera politica dalle conseguenze del coronavirus, che ha colpito mezzo pianeta.

In Asia, in Estremo Oriente in particolare, culla probabilissima del Covid-19, i politici, dopo lo smarrimento iniziale, dopo il colpevole ritardo cinese nella trasmissione dei dati e le draconiane misure di contenimento della pandemia, stanno approfittando della quasi-vittoria dinanzi a gran parte del resto del pianeta che invece è ancora invischiato nelle pastoie del contagio. Viene poco in luce il vero successo, quello vietnamita.

Nel subcontinente indiano, dove il peggio sembra per fortuna evitato, i governanti cercano di attribuirsi il merito della scarsa diffusione del virus, malgrado errori di visuale non da poco e malgrado l’incapacità dei politici di accompagnare le sofferenze dei più poveri. Anche qui c’è un caso virtuoso, quello del Kerala, ma è poco conosciuto.

In Russia e nei Paesi ex-sovietici, dove la certezza delle cifre non è assicurata (scarsissima mortalità rispetto ai contagi) i regimi approfittano della pandemia per regolare certe questioni delicate e consolidare il proprio potere, spesso infinito. Buoni risultati della politica in Uzbekistan e Kirghizistan, ma chi lo sa?

Lo stesso accade in Medio Oriente, dove il lockdown, spesso eccessivo e non giustificato dalla reale diffusione del coronavirus, viene prolungato oltremisura per tenere a bada certe frange di popolazione inquiete, anche per la grave crisi economica dovuta alla corruzione, al malgoverno e alla caduta verticale del prezzo del petrolio. Con un occhio attento al dramma yemenita.

L’Africa pare un mistero, con le sue cifre contenute (anche per i pochissimi tamponi effettuati, costano troppo), ma con paure coltivate ad arte dai politici per deviare da altri problemi ben più gravi che affliggono la gente.

Dell’America del Nord si è scritto tanto, forse troppo. Inutile tornare, a proposito degli Usa, sulla politica anomala di questi tempi digitali, con un presidente che si fida solo del proprio fiuto, con una politica spinta di fake news, di post-verità, con la creazione ad arte di nemici, Cina in primis, nella manifestazione più schietta di opportunismo, persino oltre le evidenze più lampanti.

Ancora, l’America Latina è ora l’epicentro mondiale della pandemia da coronavirus, e quindi i politici locali sono tuttora invischiati nella fase dell’emergenza, cercando di non perdere il vantaggio di posizioni già acquisite, evitando di doversi confrontare con la durezza della quotidianità. Con un personaggio inquietante come Bolsonaro, vicino ai suoi “simili” Trump, Boris Johnson e Modi, frutto di una concezione solipsistica della politica.

Infine la nostra Europa dove, a parte forse il Regno Unito (con il suo premier “fuori regola”, che però ha dovuto pagare di persona la leggerezza della sua analisi), ci si avvia al de-confinamento generalizzato, anche se faticoso, con la riapertura degli spazi e la riappropriazione di libertà messe tra parentesi. Ed è proprio in Europa che si assiste ai casi forse più evidenti di “opportunismo peloso”, con riposizionamenti arditi, dettati dai sondaggi tornati in auge, che tradiscono precedenti posizioni spesso intransigenti e perciò identitarie. Nulla di strano, c’è chi vincerà e c’è chi perderà. Come ovunque. E non sempre vinceranno coloro che hanno più sale in zucca e che tengono in maggiore considerazione il bene comune.

La vigilanza è l’arma in mano ai cittadini-elettori, che avranno comunque difficoltà a sfuggire dalle campagne social dei più agguerriti politici sul campo. Eppure il capitale di sofferenza accumulato in questi mesi di lockdown, la sensibilità per la verità, o perlomeno per la cruda realtà, non può essere spazzata via con un manrovescio e si saprà, dove più dove meno, valutare la coerenza e la dirittura dei singoli politici. Basterebbe, prima di votare, fare un giro su Internet e mettere in fila le dichiarazioni sulla pandemia dei vari politici dal gennaio al maggio 2020 per cogliere il tasso di onestà o disonestà dei singoli, per valutare la coerenza o meno della visione dei candidati a rappresentarci.

Ogni Paese europeo è diverso, la Francia di Macron non è l’Italia di Conte, la Germania della Merkel non è la Grecia di Mitsotakis, o la Norvegia della Solberg. Le prossime scadenze elettorali diranno se i popoli hanno tratto beneficio politico dal coronavirus: si saprà allora se saranno stati incoronati i più onesti o i più opportunisti. Nel frattempo s’avverte nelle nuove generazioni, in modo diseguale ma diffuso, una nuova determinazione politica. Serve coraggio, le nuove leve hanno da lavorare duro. A lungo termine, quello breve è troppo volatile.

 

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